Da Pieve Santo Stefano a Poppi

Da Pieve Santo Stefano a Poppi

L'itinerario, che prende le mosse da Pieve Santo Stefano, borgo situato quasi al confine tra Toscana, Umbria e Romagna, percorre una delle zone toscane di maggior rilevanza turistica per le numerose emergenze ambientali, artistiche e architettoniche che lo contraddistinguono. In particolare si segnala il circuito dei castelli che caratterizza il territorio assieme a due dei più importanti santuari d'Italia, Camaldoli e La Verna. Dal punto di vista naturalistico-ambientale, il Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona, Campigna si distingue per la sua ricchezza faunistica e botanica.
Percorrendo la superstrada che da Orte conduce a Ravenna (E45) si esce a Pieve Santo Stefano Nord/Sud. A nord di Pieve (circa 12 km), in direzione di Verghereto, sono conservate alcune permanenze territoriali legate all'intervento dei cantieri Todt per l'apprestamento della Linea Gotica. Non sono attivati percorsi specifici, ma la memoria di quei tragici eventi è comunque viva negli abitanti della zona.


Pieve Santo Stefano

Il paese sorge sulla riva destra del Tevere, presso la confluenza dell'Ancione, nel luogo della romana Suppetia o Sulpitia, e rivestì un ruolo nevralgico per il territorio circostante in epoca longobarda come oppidum Veronae. A lungo oggetto di contesa nel Medioevo tra Perugia, Arezzo e Città di Castello, fu distrutto nel 1269 dai perugini che lo rinominarono Castelfranco. Venne successivamente ricostruito e designato con il nome attuale. In seguito passò in potere di Arezzo, con cui nel 1385 entrò a far parte della Repubblica fiorentina. Pur nel suo aspetto moderno, essendo stato in gran parte ricostruito dopo le distruzioni causate dalla Seconda guerra mondiale, Pieve Santo Stefano conserva interessanti edifici quali la cinquecentesca chiesa della Madonna dei Lumi, il Palazzo pretorio, costruito nelle forme attuali ai primi del XIV secolo e rimaneggiato alla fine del XVI, e il Palazzo comunale. Accanto al Palazzo comunale si eleva l'insigne collegiata di S. Stefano, rifatta nell'Ottocento su una preesistente chiesa nota fin dal XIII secolo. Negli anni '30 del Novecento Pieve visse un periodo di discreto benessere raggiungendo un cospicuo numero di abitanti.
I disastri della guerra. Questa situazione si interruppe il 10 giugno 1940 con la chiamata alle armi dei giovani pievani, impegnati su numerosi fronti bellici: da allora fino al settembre 1943 vennero complessivamente impiegati nell'esercito più di 600 soldati pievani, 47 dei quali non fecero più ritorno. A seguito dell'armistizio, Pieve visse il dramma dell'occupazione tedesca con i conseguenti rastrellamenti e sfollamenti. Nel dicembre 1943 vi si insediò in luogo del podestà un commissario prefettizio in rappresentanza della Repubblica Sociale Italiana, l'autoproclamata Repubblica di Salò. Contemporaneamente, sopra Valsavignone si procedeva alla costruzione della Linea Gotica: anche qui i lavori erano diretti dalla Todt che reclutò manodopera locale. A seguito della rottura della Linea di Cassino, Pieve si ritrovò in diretta prossimità del fronte: ne conseguì una quantità di violenze e spoliazioni da parte dei tedeschi, che nell'agosto 1944 procedettero allo sfollamento coatto degli abitanti costringendo i profughi a dirigersi verso Rimini e Cesena e da qui verso la Val Padana. Il centro valtiberino costituì parte integrante degli avamposti della Linea Gotica, sfruttando l'orografia del territorio che in corrispondenza della valle del Tevere, proprio sopra il Pozzale, si stringe in una gola incassata tra le montagne. Ripetendo uno schema tristemente consueto nella ritirata, i tedeschi minarono le case di Pieve facendole esplodere e sbarrando tutte le vie di transito. Dalle distruzioni si salvarono solamente gli edifici ecclesiastici e parte del Palazzo pretorio. Il 31 agosto Pieve Santo Stefano venne raggiunta dalle truppe inglesi che ne costatarono la deliberata distruzione da parte dei tedeschi. La ricostruzione fu particolarmente complessa e drammatica, considerato l'abbattimento del 99% degli edifici, la massiccia presenza di mine sul territorio e la larga distruzione delle infrastrutture viarie. Pieve ha pagato alla guerra un tributo di 35 persone trucidate dai tedeschi e 76 dilaniate dalle bombe. Il 13 aprile 1957 Pieve Santo Stefano, unico tra i comuni dell'Aretino, venne insignito della Croce di guerra al Valor militare. Una lapide apposta sul muro del Palazzo comunale ne ricorda l'evento.
La "città del Diario". Presso il Palazzo pretorio, in piazza Plinio Pellegrini al N. 1, è ospitato un archivio pubblico denominato l'"Archivio dei Diari", che raccoglie in diari, epistolari, memorie autobiografiche di vario genere e in centinaia di scritti derivanti dalle trincee della Seconda guerra mondiale racconti della vita di tutti i giorni di gente comune in cui si riflette la storia d'Italia. Non a caso Pieve è denominata "Città del Diario". L'archivio, fondato nel 1984 da Saverio Tutino, si configura quale "Casa della Memoria", giacché, oltre l'attività museale di conservazione, si propone anche come incubatrice di nuove iniziative culturali riferite in particolar modo alla diaristica. A questo scopo l'archivio ha istituito anche un concorso letterario che ha portato alla premiazione di oltre venti scritti e alla raccolta di numerosi testi pubblicati da editori quali Einaudi, Baldini & Castoldi, Giunti, Mursia e Terre di Mezzo. L'archivio, che vanta un migliaio di visitatori all'anno, è frequentato e consultato da studenti, giornalisti, scrittori e sceneggiatori. Nel 2001 ha intrapreso una collaborazione con la casa di produzione di Angelo Barbagallo e Nanni Moretti, la Sacher Film, per trasformare alcuni scritti qui conservati ne "I diari della Sacher", film-documentari distribuiti dalla Warner Bros. Nel 1998 ha avuto inizio la pubblicazione della rivista dell'archivio intitolata "Primapersona", incentrata sul tema della scrittura autobiografica e sul dibattito che la vede protagonista. Per informazioni più dettagliate si consiglia di contattare la Fondazione Archivio Diaristico Nazionale (Onlus) sita sempre a Palazzo pretorio.
Usciti da Pieve si prosegue l'itinerario in direzione di Poppi; percorrendo la strada provinciale 208 dopo circa 16 km si giunge a Chiusi della Verna. Tra i km 35 e 36 è possibile trovare una serie di lapidi commemorative censite dal Comune di Pieve Santo Stefano.
 

Chiusi della Verna

Sorto in connessione al santuario francescano come ricovero per i pellegrini che percorrevano il tracciato della Via Romea, il paese è attestato dal 967 tra i domini affidati da Ottone I di Germania a Goffredo di Ildebrando Catani; in seguito, a partire dal 1261, entrò in possesso di Guglielmo degli Ubertini. Al periodo del dominio dei Catani rimandano i resti di un castello situato in posizione elevata. Sempre ai Catani, e in particolare al conte Orlando, risale la donazione del monte della Verna a san Francesco d'Assisi, che nel settembre del 1224 ricevette qui le stimmate, come ricorda anche Dante (Paradiso XI, 106-108).
Il territorio di Chiusi, come tutto il Casentino, fu teatro di scontri legati agli eventi della Resistenza e della guerra di Liberazione. In particolare si ricorda la strage del 14 giugno 1944: la morte di un militare tedesco in uno scontro a fuoco tra una pattuglia di partigiani e una di militari nazisti diede origine alla rappresaglia che portò all'uccisione di 10 innocenti, tra cui il parroco del paese, padre Raffaello Perricchi. Chiusi della Verna faceva infatti parte della "Valle Santa", ovvero l'avvallamento che cinge il monte della Verna, dove i luoghi particolarmente aspri e selvaggi si prestavano alla guerriglia e nel quale i partigiani presero stanza fin dal principio.
È importante ricordare che presso il santuario della Verna sono conservati i Chronicon redatti dai padri guardiani, che riportano in forma diaristica tutti gli eventi accaduti nel territorio circostante.
Dopo Chiusi della Verna, continuando il percorso sulla strada provinciale 208 in circa 20 km si raggiunge Bibbiena.
 

Bibbiena

Sorta come castello dei vescovi di Arezzo tra l'XI e il XII secolo in centro economico del Casentino per le attività industriali (tessili ed elettromeccaniche) e commerciali. Passata nel XIV secolo sotto il dominio dei Tarlati e nel 1360 di Firenze, fu caratterizzata in epoca medievale dai due rioni di Piazza e del Fondaccio, che hanno dato il nome alle rispettive due fazioni del "Carnevale storico", risalente alla metà del XIV secolo e tuttora di grande rilevanza. Tra le emergenze architettoniche si segnalano il cinquecentesco palazzo del cardinale Bernardo Dovizi, prospiciente la chiesa di S. Lorenzo del 1474, e la piazza Tarlati con la torre dell'Orologio, resto dell'antica rocca dei Tarlati.
Bibbiena non conserva tracce significative della guerra di Liberazione, da cui fu comunque interessata, come le altre località del Casentino, quando il fronte vi si spostò. In generale tutta la zona tra Bibbiena, Poppi e il monte Falterona fu straziata a più riprese dalle rappresaglie naziste. In particolare il 13 aprile 1944 furono colpite le località di Partina e Moscaio di Banzena, nello stesso giorno in cui si compì la strage di Vallucciole. Il paese di Partina fu attaccato da un'intera formazione di SS che dopo aver fatto irruzione nelle case trucidò 29 cittadini dando poi fuoco ai corpi. Nemmeno le abitazioni vennero risparmiate e l'intero borgo fu quasi completamente distrutto dalle fiamme. Una volta abbandonata Partina, le truppe tedesche si diressero verso Moscaio di Banzena, dove continuarono il massacro prelevando e uccidendo 8 giovani abitanti del paese sospettati di far parte dei gruppi partigiani.
Da Bibbiena si gira a destra immettendosi sulla regionale 70 in direzione Poppi, località che si raggiunge dopo 7 km circa.
 

Poppi

È uno dei principali centri storici del Casentino, posto su un'altura dominante la riva destra dell'Arno. Il borgo medievale si formò su un preesistente insediamento romano (Pagus Pupius) nel XII secolo, quando divenne residenza feudale dei conti Guidi che vi eressero il castello e lo governarono fino al XV secolo. Il polo principale dell'impianto urbano di Poppi è costituito dall'abbazia di S. Fedele (sec. XII, ripristinata tra il 1928 e il 1934) e appunto dal castello dei conti Guidi, trasformato in palazzo signorile nella seconda metà del Duecento. Secondo il Vasari il progetto fu realizzato dall'architetto Jacopo o Lapo, padre di Arnolfo di Cambio, il quale si sarebbe ispirato proprio a questo castello per il progetto di Palazzo Vecchio a Firenze. Ampliato nel 1291, fu più volte ristrutturato nel corso dei secoli successivi. All'interno del castello ha sede, assieme agli uffici comunali, l'importante Biblioteca comunale "Rilliana" dotata di circa 20000 volumi, manoscritti medievali e preziosi incunaboli. Presso la biblioteca si trova anche il Centro di Documentazione sulla Guerra e la Resistenza che conserva, tra le numerose testimonianze, anche importanti documenti del Public Record Office di Londra, nonché una ricca bibliografia sul periodo 1940-45 nel Casentino e in provincia di Arezzo.
Nel maggio del 1944 gran parte del territorio casentinese fu interessato da attacchi aerei inglesi. Le truppe tedesche risposero piazzando diverse batterie antiaeree nei punti strategici del Caggio di Bibbiena e Santa Rosa, di fronte a Poppi. Il borgo acquistò tra l'altro grande importanza come meta di un massiccio spostamento di sfollati che vi si rifugiarono per sfuggire alla deportazione verso la Romagna.
La "Banca della Memoria". Immediatamente a sud dell'abitato, in località Ponte a Poppi, ha sede il Centro Documentazione Risorse Educative Didattiche della Comunità Montana del Casentino (CRED).
Nato nel 1996 sulla base di un precedente progetto intercomunale, ospita un'importante mediateca che conserva anche testimonianze e repertori sulla Resistenza e sugli eccidi avvenuti nel Casentino e in altre località della Toscana. Il centro si rivolge alle scuole presenti sul territorio e svolge servizi di prestito sia di materiale filmato sia di strumenti per la ripresa. Dispone infatti di attrezzature di montaggio e di ripresa audio/video professionali e fornisce consulenza culturale e tecnica per progetti didattici legati alla storia e all'antropologia del territorio casentinese. Ha realizzato un archivio video-digitale, definito "Banca della Memoria", che contiene oltre 300 ore di documenti relativi alla Resistenza e alla cultura rurale. Questa sezione, in continuo aggiornamento, ha lo scopo di archiviare con tecniche avanzate il materiale esistente legato alla Resistenza e alla cultura materiale.
Da Poppi è possibile raggiungere il Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi imboccando la via Fiorentina e la strada provinciale 66, che conduce a Camaldoli (19 km) passando per Moggiona.
 

Camaldoli

Paese situato in splendida posizione nel Casentino nordorientale, in una vasta foresta di abeti, rappresenta con il suo complesso monastico e con il sovrastante eremo uno dei principali luoghi di culto d'Italia. Fondato da san Romualdo nel 1012, divenne nel XII secolo una delle roccaforti dell'ordine benedettino. Fu due volte ricostruito nel XIII secolo a seguito di incendi e subì numerosi saccheggi nei secoli successivi. Dalle origini, ma in particolare dal XV secolo, si distinse come centro culturale. Anche Camaldoli, come La Verna, conserva i Chronicon interni in cui i padri camaldolesi hanno annotato, giorno dopo giorno, i fatti verificatisi nel territorio circostante e i documenti custoditi nel monastero appaiono significativi anche per il periodo della Seconda guerra mondiale nel Casentino.
La guerra intorno all'eremo. Il territorio compreso tra Camaldoli, Serravalle e Montanino fu interessato da una massiccia opera di fortificazione alla quale presero parte circa 1500 operai reclutati dalla Todt. Nella zona erano sistemate circa 40 postazioni di artiglieria, affiancate da opere di difesa e campi minati. A sud di Camaldoli, nelle località di Avena, Lierna e Farneta erano invece piazzate le cucine da campo per il rifornimento del fronte ed è qui che venivano convogliate le vettovaglie, gli animali e i generi alimentari sequestrati nei territori casentinesi. All'eremo di Camaldoli fecero spesso capo gruppi di partigiani per ottenere cibo e alloggio, e nel settembre 1943 vi furono nascosti alti ufficiali inglesi fuggiti dai campi di concentramento. Va anche segnalato che a Camaldoli furono custodite varie opere d'arte provenienti dalla Galleria degli Uffizi per evitarne il saccheggio da parte dei tedeschi.
A sud di Camaldoli, Moggiona fu teatro tra il 7 e l'11 settembre 1944 dello sterminio di 19 civili. Questa rappresaglia, priva di qualsiasi motivazione militare, fu determinata solamente da un sadico desiderio di distruzione e lasciò come unici superstiti due bambini, che riuscirono a salvarsi dopo essersi nascosti nelle fessure di una cantina. Uno, appena fuggito, raggiunse gli sfollati a Poppi dopo 12 km di cammino; l'altro fu recuperato dai religiosi di Camaldoli e condotto al monastero.
Un'altra possibilità per raggiungere il Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, sempre partendo da Poppi, è percorrere per pochi chilometri la regionale 70 e imboccare a destra la statale 310 verso Stia. Pochi chilometri prima di raggiungere Stia si incontra il famoso castello di Romena. La struttura fortificata, di cui rimangono il cassero e tre delle 14 torri, fu eretta intorno al Mille e divenne prima dimora dei conti Guidi (XII secolo), poi dei Medici e infine, dal Settecento, dei conti Goretti-Flamini. Fu gravemente danneggiata durante la Seconda guerra mondiale dalle bombe alleate dirette ai reparti tedeschi che qui si erano asserragliati.
 

Stia

Il comune, fin dal Trecento importante centro dell'industria tessile, è situato alle pendici del monte Falterona, poco prima dell'ingresso nel Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi. Appena sopra la strada che da Stia porta a Londa, in direzione di Firenze, si trova Vallucciole. Qui, nell'ambito di un piano di rastrellamento che doveva coinvolgere tutto il crinale appenninico come azione di rappresaglia a seguito della morte di due ufficiali delle SS, la divisione Goering, rinforzata da contingenti di SS e dai repubblichini, sferrò il 13 aprile 1944 un attacco feroce uccidendo 108 civili tra cui 22 bambini e ragazzi.
Salendo da Stia verso il passo la Calla (circa 15 km) si entra nel territorio del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona, Campigna.
 

Parco delle Foreste Casentinesi

Istituito grazie al DPR del 14 dicembre 1990, il parco si estende su una superficie di 38818 ettari, a cavallo tra l'Emilia-Romagna e la Toscana, dal monte Falterona a nord al passo dei Mandrioli a sud. Il paesaggio cambia da un versante all'altro: dolce quello toscano, ripido e accidentato quello romagnolo. Comprende boschi e foreste tra i più estesi e meglio conservati d'Italia e custodisce un elevato patrimonio floristico e faunistico.
Natura e Libertà. Le foreste e vari ambienti naturali fanno da cornice ai segni della millenaria presenza dell'uomo: borghi, mulattiere e soprattutto i due santuari di assoluto fascino di Camaldoli e La Verna. L'Ente Parco ha già sistemato i sentieri esistenti, che compongono una rete di oltre 600 km, e ha creato nuovi itinerari di fruizione autoguidata del territorio denominati i "Sentieri natura". Il parco ha inoltre attivato due percorsi "per tutti i sensi"
("Un sentiero per tutti… i sensi", di circa 350 m sul viale del Granduca di Campigna; "Una Foresta per tutti… i sensi: un sentiero per Sonia", in località Capanno), destinati a ogni visitatore senza alcuna preclusione.
Una diversa idea è all'origine dei "Sentieri della Libertà (Biserno-Celle)", un insieme di sentieri esistenti il cui tema centrale è la storia, spesso dolorosa, del biennio 1943-44. Il progetto, nato per impulso delle ANPI romagnole e toscane, ha visto la fattiva collaborazione dell'Istituto per la storia della Resistenza e dell'età contemporanea di Forlì-Cesena e si è potuto realizzare grazie allo sforzo congiunto della Comunità Montana Forlivese e dell'Ente Parco. I "Sentieri della Libertà" si presentano, sul territorio romagnolo, come veri e propri percorsi dedicati alla fruizione delle permanenze storiche; nel territorio toscano si configurano piuttosto come una rete di singoli siti, dislocati all'interno del parco, in cui sono visibili tracce della guerra di Liberazione. Bacheche in legno e tabelle informative sintetizzano lungo i percorsi il quadro delle postazioni tedesche sulla Linea Gotica, la presenza partigiana, gli scontri e l'avanzata delle truppe alleate.
Presso il parco può essere acquisita la Carta della Resistenza di recente pubblicazione.
Un Museo virtuale. La Provincia di Arezzo ha attivato un Museo virtuale dell'Antifascismo e della Resistenza visitabile su internet all'indirizzo http://memoria.provincia.arezzo.it. Nel sito, in via di implementazione, sono riportati i dati relativi alle stragi perpetrate in territorio provinciale, ai gruppi partigiani attivi, ai reparti tedeschi di stanza sul territorio e alla bibliografia correlata.

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