Arezzo

Nella primavera del 1944, quando la linea del fronte cominciò ad avvicinarsi alla provincia di Carro armato ad ArezzoArezzo, le bande e i gruppi partigiani presenti nelle vallate aretine erano assai numerosi e agguerriti, mentre nel Casentino si erano ormai consolidate grosse formazioni ben organizzate e con un elevato livello di combattività: diveniva così realistico il progetto di un collegamento tra queste forze in vista di un attacco sempre più aperto e diretto contro il nemico occupante.
Ma altrettanto forte era la pressione da parte dei nazifascisti che mettevano in pratica la strategia stabilita da Hitler e da Kesselring della "ritirata aggressiva", che comportava l'adozione di metodi brutali, feroci ben oltre le regole di una guerra già di per sé dura e spietata. Rastrellamenti, eccidi, stragi si susseguirono con sempre maggiore intensità, miranti a colpire il morale delle popolazioni che davano il loro sostegno alle forze partigiane.
Ma ormai si avvertivano sempre più chiaramente i segnali di una crisi che investiva soprattutto gli alleati dei nazisti, quei fascisti repubblichini che avevano accettato di collaborare con l'occupante e di sostenerne e condividerne le azioni violente e sanguinarie. Il tentativo di contrastare la crescita del movimento partigiano – anche grazie a misure che avrebbero dovuto restituire efficacia e credibilità agli apparati dell'autoproclamata Repubblica di Salò, per esempio con la sostituzione di prefetti, gerarchi e funzionari – si rivelò privo di effetti pratici anche quando cominciò ad avvertirsi pesantemente l'addensarsi delle truppe tedesche provocato dall'arretramento del fronte e si intensificarono gli sforzi per l'apprestamento della Linea Gotica. Perfino la comparsa di squadracce come la "Compagnia della morte", che pure suscitò orrore nella popolazione, si rivelò uno strumento inefficace: la gente cominciò a chiamarli "i morticini", ma non c'era nessun vezzeggiamento nella definizione, solo sprezzante, anche se dolorante, ironia.
Nella lunga e complessa vicenda della lotta di Liberazione e della guerra partigiana in terra aretina, le vicende e i passaggi che possono ricondursi in via più diretta alla Linea Gotica si condensano soprattutto nel periodo compreso tra la fine della primavera e i primi di ottobre 1944, e coinvolgono in modo più diretto i comuni della parte nordorientale della provincia di Arezzo.
Il ritmo degli eventi si fece più intenso da quando, la notte del 25 maggio 1944, su tutti i crinali dell'Alpe di Catenaia la Resistenza aretina stabilì di accendere grandi fuochi, dei falò sulle montagne che si vedevano benissimo dalla città e da lunga distanza, nonostante il ferreo divieto dei tedeschi che temevano si potesse così favorire l'orientamento dei bombardieri angloamericani. Fu la "notte dei fuochi", che si estese anche ad altre località montuose dell'aretino, sfida aperta al nemico occupante. Era la notte in cui scadeva il bando della leva repubblichina e questa fu la risposta di tanti giovani che preferirono andare a combattere tra i partigiani nelle file della Resistenza.
Pochi giorni dopo, agli inizi di giugno, scattò l'offensiva a oltranza partigiana: dopo il successo della "notte dei fuochi", che aveva fatto precipitare il nemico in preda al panico, il proclama del maresciallo britannico Alexander, comandante delle forze alleate nel Mediterraneo, era stato interpretato come l'invito alla rottura di ogni indugio, la spinta ad attaccare e incalzare il nemico che stava ripiegando ed era in ritirata.
Ma la reazione da parte nazifascista, proprio in connessione con l'imminente arroccamento sulla Linea Gotica, fu spietata. Dopo le stragi che già nell'aprile erano state consumate contro le popolazioni civili, comprese donne e bambini, a Vallucciole (108 morti), a Partina e a Moscaio di Banzena (in totale 37 morti), il 14-15 giugno fu la volta di Chiusi della Verna dove furono uccise 10 persone, quindi saccheggiate e devastate le case. Il 20 toccò a Montemignaio, dove vennero uccisi 11 uomini; il 29 ancora a Montemignaio, in località Carbonettoli, dove nazisti e repubblichini catturarono, seviziarono e massacrarono 5 persone. Lo stesso giorno a Castel San Niccolò, in località Cetica, vennero fucilati 13 civili, mentre una decina di partigiani moriva in combattimento.
Nei due mesi successivi la tragica sequela proseguì con l'uccisione, tra luglio e agosto, di numerosi civili a Poppi, Pieve Santo Stefano, Sansepolcro, Sestino e Montemignaio. Nel settembre, quando sembravano ormai vicine la fine della guerra e la ritirata tedesca, ancora altri eccidi insanguinarono la terra aretina più prossima alla Linea Gotica: fucilazioni e massacri si susseguirono a Sestino, Montemignaio, Pratovecchio, Badia Prataglia e Badia Tedalda. Questa striscia di sangue fu anche l'effetto del rallentamento della ritirata tedesca in provincia di Arezzo, iniziata invece con grande velocità dopo la caduta di Roma il 4 giugno. Il ripiegamento si protrasse dalla fine di giugno alla fine di settembre, primi di ottobre, e lasciò segni di morte e di tragedia dappertutto.
La Resistenza incalzò il nemico più che poté, ma gli ostacoli vennero dalla conformazione del terreno, dalla decisione nazista di frenare a ogni costo l'avanzata alleata, tentando proprio nell'Aretino di impegnare una battaglia d'arresto, e dall'indebolimento della pressione delle forze angloamericane. Queste, già bloccate sulla linea del Trasimeno, furono sensibilmente ridimensionate negli effettivi per l'apertura di un secondo fronte nella Francia meridionale, dove furono spostate numerose divisioni americane e francesi.
Kesselring ebbe modo di rafforzare le posizioni attestandosi su linee difensive già predisposte e a lui più favorevoli. I primi giorni di giugno furono marcati da eventi contraddittori: il 6, due giorni dopo la presa di Roma, avvenne lo sbarco in Normandia e il 7 Alexander ordinò di intensificare l'attacco e di accelerare l'avanzata verso nord. Ma contemporaneamente scattò nella Francia meridionale l'operazione Anvil che cambiò profondamente la natura della Campagna d'Italia, facendo assumere agli inglesi il ruolo principale ma anche imponendo loro di sopportare maggiori oneri, mentre i tedeschi avrebbero potuto più agevolmente mettere in pratica la loro strategia della "ritirata aggressiva", della guerra terroristica contro i civili e contro i partigiani.
In provincia di Arezzo la trasformazione del CPCA (Comitato Provinciale di Concentrazione Antifascista) in CPLN (Comitato Provinciale di Liberazione Nazionale), che veniva stringendo legami sempre più forti con il CTLN (Comitato Toscano di Liberazione Nazionale), costituì un passo avanti decisivo per il rafforzamento della Resistenza e dei contatti con le formazioni partigiane presenti sul territorio. Contemporaneamente, dai gruppi, dalle bande, dalle formazioni che intanto si erano costituite nascevano raggruppamenti più grandi e più forti, come la 23a brigata garibaldina Pio Borri e la 24a brigata Bande Esterne.
Dopo la liberazione di Arezzo, avvenuta il 16 luglio, la difesa tedesca, che indietreggiando si approssimava agli avamposti della Linea Gotica, si fece più accanita e divenne sempre più rabbiosa soprattutto nel Casentino.
La liberazione di questo territorio avvenne sostanzialmente nel mese di settembre, iniziando pochi giorni prima con Bibbiena, il 28 agosto, e concludendosi il 1° ottobre con Sestino. In mezzo la liberazione di tutti i centri principali: il 2 settembre Poppi, il 3 Strada, il 24 Pratovecchio e Stia. Il periodo dell'arrivo della linea del fronte, dell'intensificazione degli apprestamenti della Linea Gotica, della ritirata nazifascista e della liberazione segnò profondamente la vita delle popolazioni locali.
I nazisti vollero lasciare una loro eredità alle popolazioni via via che si ritiravano e abbandonavano le località occupate, disseminando il territorio di mine antiuomo e anticarro che a lungo avrebbero mietuto vite tra la popolazione civile. Ritornata la popolazione nei paesi, ciò che apparve fu una grande desolazione, macerie, distruzioni, le campagne abbandonate. I mesi che coincisero con il ripiegamento sulla Linea Gotica e alla fine con la liberazione videro sacrifici immensi da parte della popolazione, slanci di solidarietà umana eccezionali, momenti in cui tra le persone si stabilirono legami prima impensabili. Dolori e tragedie enormi, affetti e momenti di generosità immensa: di questo furono protagonisti uomini e donne del Casentino e del territorio aretino, cittadini, paesani e contadini, donne, giovani italiani, slavi, francesi, senza divisa e divenuti partigiani e patrioti perché avevano scelto la via della lotta per la libertà; e tanti altri giovani che con la divisa inglese o americana, sudafricana o canadese, neozelandese, francese o brasiliana erano venuti a combattere in queste terre, talora sacrificando la propria vita, come toccò anche a milioni di giovani sovietici, perché il regime della violenza, del razzismo, della sopraffazione non avesse il sopravvento qui e neppure nel resto del mondo.

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Aggiornato al:
18.02.2013
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570713