Colmegna: «Immigrati, prima di tutto persone in difficoltà»

«Prima del passaporto, prima del permesso di soggiorno, per noi ci sono donne, uomini, bambini in difficoltà che hanno bisogno di aiuto. E' questa l'idea di accoglienza che pratichiamo nella Casa della Carità a Milano, che attualmente ospita persone di 81 nazionalità, etnie, religioni diverse». Così Virginio Colmegna, presidente della casa milanese, una vita dedicata alla solidarietà, all'accoglienza e all'ascolto, ha detto tra gli applausi agli ottomila ragazzi del Palamandela.
«Bisogna saper ascoltare – ha proseguito il sacerdote – Solo così si combatte il radicarsi dentro di noi del pregiudizio, della colpevolizzazione generalizzante di un'etnia, che diventa l'anticamera delle camere a gas. Quello che colpisce dell'immigrazione è che i milioni di profughi che con viaggi drammatici arrivano nei nostri paesi dive ntano anonimi, senza storia. Invece le loro storie vanno ascoltate, va riscoperta la ricchezza, ma anche la normalità delle loro esperienze, e così ritroveremo la gioia della fraternità. E anche quando le le persone che si rivolgono a noi sono musulmane, condividiamo con loro la spiritualità che affratella e non divide».
Ma gli italiani sono razzisti, sono cattivi? La domanda l'ha rivolta il conduttore del Meeting, Gad Lerner, allo storico Adriano Prosperi della Scuola Normale di Pisa, sul palco insieme a Colmegna. «Oggi in Italia c'è una forma strisciante di razzismo e antisemitismo diffuso – così Prosperi – Ci dimentichiamo di quando l'etichetta di "razza inferiore" era appiccicata a noi. Per esempio in Germania negli anni sessanta, quando gli emigrati italiani arrivavano stipati nei vagoni di terza classe, e anche loro puzzavano, dopo i lunghi viaggi in treno a dormire nei corridoi. E poi ve nivano ammassati nelle baracche vicino alle fabbriche».
«Contro gli sgomberi dei campi rom – ha detto ancora lo storico - e la discriminazione degli stranieri, con proposte come l'abolizione dopo sei mesi della cassa integrazione ai lavoratori stranieri, contro la regressione civile che avanza, dobbiamo fare qualcosa. La strada, la vittoria di cui parla anche l'inno di Mameli, è solo una, quella contro i pregiudizi e gli stereotipi. Ed è la nostra storia che ci deve indicare la direzione».

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Aggiornato al:
07.02.2013
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545429