Gli inviati speciali e il ‘fascino perverso' della guerra

"Per l'inviato la guerra diventa una sorta di dipendenza, una droga. E' importante riconoscere questo fascino macabro della guerra , perché può impadronirsi di una persona come dell'intera società". Lo ha detto al meeting sui diritti umani in corso al Palazzetto di Firenze Chris Hedges, giornalista americano per venti anni inviato in aree di conflitto e oggi docente di giornalismo presso la New York University. Hedges ha descritto l'effetto 'perverso' della guerra sullo stesso giornalista chiamato a raccontarla: "Ho cominciato a scrivere di guerra in Salvador - ha detto - e ho finito in Kosovo. Come finiva una guerra, noi inviati facevamo di tutto per andare sul teatro di un'altra guerra, altrimenti rischiavamo di cadere in depressione. La guerra è il più potente narcotico che esista. Se entri nel suo circolo vizioso è difficile poi uscirne. Ma come ogni droga, la guerra ti trasforma e finisce con l'autodistruggerti. E quello che accade a una persona può accadere a un intero popolo che subisca questo potere seducente. Così oggi con l'occupazione in Iraq il mio Paese in fondo sta distruggendo se stesso, perché l'occupazione corrompe l'anima dell'individuo e della sua nazione".
Il rapporto tra la guerra e l'inviato che la racconta è stato descritto anchde da Giovanna Botteri, che per il Tg3 della Rai ha seguito tutti i più recenti conflitti, tra cui quello iracheno. "La prima guerra che ho seguito - ha raccontato - è stata quella dei Balcani. E'stata un'esperienza particolare perché mia madre è serbo-montenegrina, per cui mi sono trovata catapultata in una realtà che conoscevo molto bene. E mi ha fatto paura: ho visto le case dei miei cugini bruciate, ho visto persone che conoscevo costrette a fuggire. Forse anche per questo non sono mai riuscita, anche dopo, ad avere una rapporto distaccato con la guerra. E ogni volta mi chiedo le ragioni di quello che vedo, delle sofferenze a cui assisto: come si fa a vivere, mi domando, come si riesce a amare, a sperare in situazioni simili?"
Accanto alle testimonianze dei giornalisti sui luoghi di guerra, il generale Fabio Mini, che per la Nato ha tra l'altro gestito la fase del dopoguerra in Kosovo, ha trasmesso anche l'esperienza dei militari, in relazione al mondo dell'informazione. "Oggi - ha detto - la guerra è fatta anche con l'informazione, l'informazione è uno strumento della guerra. Uno strumento che mostra lo 'spettacolo' della guerra, che ne sfrutta le emozioni. Anche i soldati vengono coinvolti in questo meccanismo e avvertono una spaccatura tra ciò che vivono e ciò che vedono raccontato dai mezzi di informazione. E spesso, quando vedono i telegiornali si sentono presi in giro. Dobbiamo essere infatti consapevoli che l'informazione in guerra non è oggettiva. 100 anni fa qualcuno disse che la prima vittima della guerra è la verità. Credo che sia vero anche oggi".

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Aggiornato al:
16.10.2008
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547958