seduta del 6 marzo 2001

seduta del 6 marzo 2001



COMMISSIONE GIUSTIZIA
seduta del 6 marzo 2001

Documento Conclusivo Approvato Dalla Commissione Giustizia


INDAGINE CONOSCITIVA
SUL RINVENIMENTO DI FASCICOLI RELATIVI A CRIMINI NAZI-FASCISTI.



a) Obiettivi dell'indagine conoscitiva
In data 18 gennaio 2001 la Commissione Giustizia ha deliberato una indagine conoscitiva sulle archiviazioni di 695 fascicoli, contenenti denunzie di crimini nazi-fascisti commessi nel corso della seconda guerra mondiale, e riguardanti circa 15.000 vittime.
L'indagine è nata dall'esigenza di verificare le cause di tali archiviazioni, le quali, già da un primo esame, risultano essere anomale in ragione sia del contenuto stesso dei fascicoli rinvenuti sia della modalità della loro conservazione. Questi, infatti, sono stati ritrovati - anziché nell'archivio degli atti dei Tribunali di guerra soppressi e del Tribunale speciale per la difesa dello Stato - a Palazzo Cesi, sede della Procura generale militare, in un armadio, con le porte sigillate e rivolto verso la parete, situato in uno stanzino, chiuso da un cancello di ferro.
La circostanza che tali documenti sembrerebbero essere stati occultati, piuttosto che archiviati, ha indotto il Consiglio della magistratura militare a deliberare, in data 7 maggio 1996, una indagine conoscitiva per stabilire "le dimensioni, le cause e le modalità della "provvisoria archiviazione" e del trattenimento nell'ambito della Procura Generale Militare presso il Tribunale Supremo Militare di procedimenti per crimini di guerra". L'indagine si è conclusa con la deliberazione di una relazione conclusiva.
La circostanza, che ha indotto, prima, il Consiglio della magistratura militare e, poi, la Commissione Giustizia a deliberare una indagine conoscitiva, risale all'estate del 1994, quando in un locale di palazzo Cesi in via degli Acquasparta 2 in Roma, sede degli uffici giudiziari militari di appello e di legittimità, veniva rinvenuto un vero e proprio archivio di atti relativi a crimini di guerra del periodo 1943-1945. Nella relazione dell'organo di autonomia della magistratura militare si riporta che il carteggio era suddiviso in fascicoli, a loro volta raccolti in faldoni. Nello stesso ambito venivano alla luce anche un registro generale con i dati identificativi dei vari fascicoli e la corrispondente rubrica nominativa. Il materiale rinvenuto era in gran parte costituito da denunce e atti di indagine di organi di polizia italiani e di Commissioni di inchiesta anglo-americane sui crimini di guerra, che risultavano essere raccolti e trattenuti in un archivio, invece di essere inviati, ai magistrati competenti per le opportune iniziative e l'esercizio dell'azione penale. Per quanto il locale del ritrovamento si trovasse tra quelli di pertinenza della Procura Generale presso la Corte Militare d'Appello, sui fascicoli figurava la provvisoria archiviazione adottata dalla Procura Generale Militare presso il Tribunale Supremo Militare, organo giudiziario soppresso nel 1981, le cui funzioni erano passate alla Procura Generale Militare presso la Corte di Cassazione.
L'obiettivo dell'indagine del Consiglio della magistratura militare era naturalmente strettamente connesso ai compiti istituzionali di tale organo, per cui l'indagine mirava a verificare se vi fossero responsabilità di magistrati militari ancora in vita nell'occultamento delle pratiche rinvenute. Nonostante che questo fosse l'obiettivo, dalla relazione risulta che in occasione delle indagini emersero dei fatti estremamente importanti per la ricostruzione storica della vicenda, che si è andata sempre più prefigurando di carattere politico, piuttosto che giuridico.
I gravi dubbi che la relazione suscita circa una presunta volontà politica diretta ad occultare i fascicoli sulle stragi nazi-fasciste e l'insistente disperata ricerca della verità da parte di associazioni dei partigiani, dei parenti delle vittime di tali stragi, dei comuni che ne sono stati tragici teatri ed, in particolare, del Comitato per la verità e giustizia hanno indotto la Commissione Giustizia a deliberare una indagine conoscitiva che chiarisca i termini complessivi della vicenda, che oramai assume una valenza sempre più politica. La delimitazione dell'ambito dell'indagine non ha potuto non risentire dello ristretto margine di tempo a disposizione della Commissione, in ragione dell'imminente conclusione della legislatura. L'indagine è stata deliberata infatti non tanto per verificare se da una analitica lettura dei fascicoli rinvenuti possano emergere nomi e responsabilità degli autori dei crimini, ma soprattutto per comprendere quali siano stati - se vi siano stati - i condizionamenti subiti dalla magistratura militare e se sarebbe stato quindi possibile, a tempo debito, perseguire i colpevoli. Individuare le responsabilità penali dei militari che hanno compiuto i crimini in questione dopo cinquant'anni di ritardo è difficile se non impossibile, poiché molti di essi, così come pure molti dei testimoni, sono deceduti. È possibile invece capire se le diverse Procure militari dei luoghi dove si svolsero i fatti avrebbero potuto individuare e perseguire i responsabili dei reati scoperti, qualora fossero stati loro trasmessi, a tempo debito, i fascicoli. È parsa, pertanto, necessaria e urgente una valutazione parlamentare, attraverso lo strumento dell'indagine conoscitiva, al fine di verificare se vi sia stato un occultamento durato cinquant'anni, e poi valutare l'opportunità di promuovere l'istituzione di una Commissione di inchiesta, che verifichi gli ambiti delle eventuali responsabilità storiche, politiche e giuridiche.

b) Audizioni svolte.
Il programma delle audizioni è stato predisposto tenendo conto della indagine svolta dal Consiglio della magistratura militare, per cui sono stati sentiti la professoressa Paola Severino e il dottor Giuseppe Rosin, quali, rispettivamente, Vicepresidente e membro elettivo, oltre che relatore per l'indagine svolta, dell'organo di autogoverno della magistratura militare, e il dott. Antonino Intelisano, Procuratore militare della Repubblica presso il tribunale militare di Roma, dalla cui richiesta di documenti necessari per il processo Priebke è scaturito poi il ritrovamento dei fascicoli nascosti. Nel corso dell'indagine è emersa l'esigenza di sentire anche il senatore Emilio Paolo Taviani, quale ministro della difesa nel 1956 (data che vedremo essere particolarmente rilevante nel quadro di ricostruzione della vicenda storica oggetto di indagine), ed il professore Paolo Pezzino, Direttore del Dipartimento di storia moderna e contemporanea dell'università degli studi di Pisa e studioso delle vicende storiche relative all'accertamento giudiziario dei crimini di guerra. Tuttavia, proprio in ragione della ravvicinata scadenza della legislatura, la Commissione non è riuscita a sentire il senatore Emilio Paolo Taviani, la cui testimonianza sarebbe stata sicuramente utile per meglio comprendere se la mancata trasmissione agli organi giurisdizionali competenti dei fascicoli relativi a stragi nazi-fasciste debba dipendere, almeno negli anni cinquanta, da "ragion di Stato". Come vedremo, la posizione del senatore Emilio Paolo Taviani, riguardo a tale questione, emerge, comunque, in tutta chiarezza dalle interviste da lui rilasciate ultimamente alla stampa. Dalle audizioni effettuate risulta che, almeno dal 1947 fino al 1974, la magistratura militare ha seguito una linea unitaria e conforme in ordine al trattamento da riservare ai fascicoli in esame. Tre diversi procuratori generali sono intervenuti in momenti importati di questa vicenda: Borsari per il periodo 1944-1954, Mirabella dal 1954 al 1958 (periodo in cui si colloca un significativo scambio di note tra il Ministero della difesa e quello degli esteri) e Santacroce per il periodo dal 1958 al 1974 (in cui rientrano le archiviazioni del 1960 e i cosiddetti "inoltri selezionati"). La professoressa Paola Severino, ad esempio, ha espressamente affermato che " È ben strano - lo dice la logica - che tre persone che si sono succedute nel tempo abbiano seguito una linea assolutamente conforme: questo farebbe pensare a quella che abbiamo definito "ragion di Stato", ma che naturalmente non potevamo documentare nella nostra relazione perché non avevamo altri argomenti se non quelli derivanti da quei tre documenti e dalla nostra logica, che peraltro mi sembra possa essere condivisa da molti".
Tre date possono essere considerate i momenti fondamentali della vicenda al nostro esame: il 20 agosto 1945, il 10 ottobre 1956 ed il 14 gennaio 1960. La prima è, quindi, il 20 agosto 1945. In tale data si svolse, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri alla presenza di funzionari dei vari ministeri interessati e del procuratore generale militare, che all'epoca era il dottor Umberto Borsari, una riunione con oggetto proprio le molteplici denunce di crimini di guerra, che nel frattempo stavano pervenendo alle autorità. È importante ricordare, ai fini della nostra indagine, che la riunione si tenne anche a seguito dell'invito rivolto all'Italia dal Dipartimento di Stato americano di denunciare alle Nazioni Unite crimini di guerra commessi dai tedeschi. A tale proposito, il professor Pezzino ha opportunamente sottolineato che proprio un'accurata indagine storica sulle relazioni fra l'Italia e gli Alleati potrebbe fornire la chiave di lettura di una vicenda, come quella in esame, sulla quale, a tutt'oggi, gli elementi conoscitivi sono scarsi e confusi, qualora siano ricercati solamente in un ambito ristretto alla politica interna.
Dalla audizione del professor Pezzino è emerso che nel periodo febbraio - giugno 1945 il Governo aveva preventivato di effettuare una azione di ricerca dei colpevoli, che trovava il sostegno degli alleati. Proprio a tal fine, furono intensificati i rapporti a livello istituzionale tra Governo italiano e Quartier generale alleato. Solo nell'estate del 1945, comunque, si sono delineate linee di fondo in ordine alla politica da seguire nei confronti dei criminali di guerra da parte degli alleati. Queste sono fondamentalmente due. Si decide che, per quanto riguarda i gradi più alti (i generali tedeschi), siano gli inglesi ad occuparsi della loro punizione in tribunale, ritenendo che l'Italia non abbia le risorse tecniche necessarie né - ed questa la motivazione più interessante - l'energia per portare avanti un simile processo. L'idea di allora degli alleati, quindi, era di tenere un processo unico per quanto riguarda
i comandanti di armata, di corpo e di divisione. Nell'agosto 1945, infatti, gli inglesi avevano acquisito prove sufficienti sul fatto che la condotta bellica dei tedeschi nei confronti delle popolazioni italiane aveva configurato un atteggiamento ed una volontà terroristica nei confronti della popolazione civile tale da giustificare una vera e propria "Norimberga italiana". Accanto a questo processo generale per crimini di guerra si sarebbero dovuti svolgere gli altri processi, la cui competenza sarebbe stata conferita all'Italia. Si riteneva, infatti, che gli italiani avrebbero dovuto effettuare i processi per i responsabili dal grado di colonnello ed inferiori. Emergeva, in sostanza, il concetto di "reati localizzabili" e "non localizzabili": i primi sarebbero stati attribuiti dagli alleati alle giurisdizioni nazionali, mentre i secondi sarebbero stati trattati dai tribunali internazionali.
La riunione del 20 agosto 1945, che nel corso dell'indagine è sembrata essere uno dei momenti decisivi della intera vicenda, non poteva non risentire di tale suddivisione dei compiti tra l'Italia e gli alleati. È da ritenere che la decisione di radunare, presso la procura generale del tribunale supremo militare, tutti i fascicoli, le istruttorie e le notizie che pervenissero in relazione a crimini commessi durante la guerra, sia stata dettata dall'esigenza di accentrare tutto il materiale relativo alle stragi nazi-fasciste, per poi smistarlo agli organi giurisdizionali competenti. Nel 1945 è presumibile che non vi era ancora la volontà di occultare tutti i documenti riuniti. Alla luce di quanto accaduto successivamente, si può comunque rilevare che la decisione del 1945 di accentrare presso la procura militare i fascicoli, ancorché fosse funzionale alla celebrazione dei processi o comunque alla ricognizione compiuta dei fatti che avrebbero potuto essere oggetto di quei processi, si dimostrò estremamente funzionale anche alla decisione opposta. È comunque da ritenere che inizialmente la volontà di perseguire i crimini di guerra non fosse di mera facciata, ma reale e concreta, risulta anche dalle vicende che immediatamente hanno seguito la riunione del 20 agosto. La presidenza del Consiglio dei Ministri, il 2 ottobre 1945, ha emanato una nota con la quale venivano date disposizioni circa l'accentramento delle informazioni presso la Procura generale militare che "provvederà ad esaminarli per estrarne le denunzie del caso" e si invia alla stessa Procura il modello della scheda per denunciare i fatti che fossero di competenza della Commissione per i crimini di guerra delle Nazioni Unite. Il 7 ottobre 1945 la Procura generale militare istituì un archivio generale nel quale far confluire tutta la documentazione relativa ai crimini di guerra. Le riunioni e le note del 1945 testimoniano, piuttosto, il ruolo protagonista che gli organi di governo e, quindi, la politica assunsero sin dall'immediato dopo guerra in ordine all'accertamento dei crimini di guerra. Indipendentemente dallo scopo che aveva la riunione dei provvedimenti, si deve rilevare l'illiceità della procedura seguita. Si tratta di illiceità dei comportamenti, piuttosto che di illegittimità degli atti compiuti dagli organi intervenuti nella vicenda, in quanto questa è stata caratterizzata da provvedimenti assunti in mera carenza di potere, essendo stati posti in essere da organi che non avevano il potere di assumerli. Le archiviazioni effettuate successivamente al 1945 dal Procuratore generale militare presso il Tribunale supremo militare sono da considerare, pertanto, non illegittime, ma inesistenti. Tale situazione di illiceità inizia comunque a manifestarsi già nella riunione del 1945, poiché allora si decise di concentrare tutto il materiale presso un organo, quale la Procura generale militare, che non ha alcun potere di indagine.
Fino al 1951, data del processo Reder, sono stati comunque effettuati in Italia dei processi contro i criminali di guerra. Alcuni, fino al 1947, ad opera degli inglesi, altri effettuati dagli italiani. I processi effettuati da Corti militari britanniche in Italia, per i crimini di guerra, sono in tutto 49, tra i quali quelli di maggior interesse sono stati sicuramente quello celebrato nel 1946 nei confronti dei generali Mackensen e Maeltzer, in ordine alla strage delle Fosse ardeatine, e quello che si è tenuto nel 1947 contro Kesserlring. Questi ultimi processi si sono tutti conclusi con condanne a morte successivamente trasformate in ergastolo, per cui ad un atteggiamento di rigore è seguito un altro di parziale clemenza. Riguardo ai processi effettuati dagli inglesi, è importante ricordare anche quello che si è celebrato nel 1947 contro Max Simon, anch'egli condannato a morte e successivamente graziato. Si tratta di un processo poiché si è tenuto proprio quando gli alleati stavano prendendo la decisione di non celebrare più alcun processo con corti militari britanniche in Italia per crimini di guerra. Tale decisione è stata assunta formalmente dal Foreign Office il 10 dicembre 1947. Come ha dichiarato nel corso dell'audizione il professor Pezzino, con il dicembre 1947 si chiude la stagione dei crimini di guerra almeno per quanto riguarda gli alleati. È importante dire che tale decisione è stata presa solamente in ordine all'atteggiamento che gli alleati avrebbero dovuto tenere circa i crimini di guerra avvenuti in Italia, non essendo stata invece pregiudiziale alla volontà dell'Italia di celebrare i processi sui crimini di guerra. Anzi è da ritenere che gli italiani furono incoraggiati a svolgere tali processi, come testimonia la trasmissione da parte degli alleati dei dati relativi una serie di criminali di guerra, come ad esempio Reder, il quale, nel settembre del 1951, è stato processato dagli italiani.
Il mutamento della politica degli alleati non è stato comunque senza conseguenze per l'Italia, come si evince dagli eventi che si sono successivamente susseguiti. Sembrerebbe infatti che la "ragion di Stato", alla quale si è fatto prima riferimento come comune denominatore della vicenda in esame, trovi la sua giustificazione in quelle stesse esigenze, che hanno portato gli alleati ad abbandonare l'idea di una "Norimberga Italiana". Questo mutamento di rotta avrebbe la sua giustificazione nella "guerra fredda" - La "dottrina Truman", sui due blocchi di Stati contrapposti, diventa, infatti, la linea guida della politica occidentale dal marzo del 1947. In questo contesto politico la Germania, seppure divisa, diventa il tassello di un mosaico importante, assumendo un ruolo difensivo antisovietico, per cui agli Stati Uniti d'America ed all'Inghilterra non conviene insistere sul tema dei crimini di guerra tedeschi. Occorre una Germania forte con un efficiente esercito da contrapporre al blocco orientale. In questa ottica devono essere valutate le conversioni della pena di morte in ergastolo delle quali hanno beneficiato molti generali tedeschi.
In piena "guerra fredda" si colloca l'altra data di fondamentale importanza per la nostra indagine: il 10 ottobre 1956. A questa data è legato un documento emblematico della rilevanza che la situazione politica internazionale assume per la vicenda in esame. Si tratta di una nota inerente ad un carteggio tra il Ministero degli esteri, Gaetano Martino, e quello della difesa, Emilio Paolo Taviani, relativo ad una richiesta di estradizione dalla Repubblica federale di Germania, che era stata indirizzata al Ministero degli esteri. Questi, con nota del 10 ottobre 1956, diretta al ministro della difesa e riguardante proprio l'estradizione ipotizzata dal procuratore militare, nell'esporre i vari argomenti contrari all'iniziativa, si è soffermato su alcune circostanze di notevole interesse. Martino, in particolare, ha evidenziato gli "interrogativi che potrebbe far sorgere da parte del Governo di Bonn una nostra iniziativa che venisse ad alimentare la polemica sul comportamento del soldato tedesco. Proprio in questo momento, infatti, tale Governo si vede costretto a compiere presso la propria opinione pubblica il massimo sforzo allo scopo di vincere la resistenza che incontra oggi in Germania la ricostruzione di quelle forze armate, di cui la NATO reclama con impazienza l'allestimento". La nota di risposta del ministro della difesa in data 29 ottobre 1956 era pienamente adesiva. Per la costituzione dell'Alleanza atlantica si ritenne che fosse politicamente inopportuno iniziare processi per crimini di guerra che avrebbero messo in crisi l'immagine della Germania e soprattutto la ricostituzione di una forza armata in quel Paese. La "ragion di Stato", come ha confermato ultimamente il senatore Taviani in un'intervista rilasciata all'Espresso, ha condizionato, in negativo, l'accertamento delle responsabilità per i crimini di guerra.
Data importante è anche quella del 14 gennaio 1960, quando il dottor Santacroce, procuratore generale militare, dispose l'archiviazione provvisoria dei fascicoli conservati a Palazzo Cesi. È sintomatica di una vera e propria deviazione dalla legalità la circostanza che l'archiviazione dei fascicoli si accompagnò ad una accurata selezione degli stessi, alla quale seguì, negli anni dal 1965 al 1968, la trasmissione alle procure di circa 1.300 fascicoli. In realtà, si trattava solo di quelli nei confronti di soggetti non noti o supportati da prove di spessore poco rilevante, che comunque non potevano dar luogo all'istruttoria di processi destinati a conclusione. Pertanto, alla concentrazione del 1945, seguì l'archiviazione degli anni sessanta e la successiva selezione dei fascicoli meno rilevanti. L'archiviazione del gennaio 1960, comunque, non è solo un atto adottato da un organo non competente, ma anche un'iniziativa assolutamente discutibile nel merito, in quanto non vi erano gli estremi per l'archiviazione, dal momento che i fascicoli contenevano indicazioni di nomi, fatti, circostanze e quant'altro. Non si tratta, quindi, di un'archiviazione, ma di un mero occultamento. In ciascuna delle pratiche è impressa la dicitura di "archiviazione provvisoria", facendo riferimento ad un istituto che non trova riscontro nell'ordinamento. In Commissione si è sostenuto che il dottor Santacroce abbia utilizzato tale formulazione non perché ne ignorasse la sua non correttezza, sotto il profilo giuridico, ma in quanto intendeva dare corso politico - e non giuridico - ad un orientamento che risponde ad esigenze di mera opportunità politica. Vi è un'altra data di rilievo, il 1965. In quell'anno scadevano i termini di prescrizione per quella tipologia di crimini. Vari Governi, tra cui anche quello tedesco, formularono un richiamo affinché tutto ciò che, non essendo ancora caduto in prescrizione, potesse essere portato all'attenzione delle magistrature venisse raccolto. Questa richiesta di raccogliere notizie, informazioni, dati su possibili procedimenti per crimini di guerra ricevette risposta da parte del procuratore generale in una nota diretta al ministro della difesa del 16 febbraio 1965 in cui si affermava che "l'autorità giudiziaria italiana conserva il pieno esercizio della propria giurisdizione" per questi reati e che "la legge italiana è più rigorosa in materia di prescrizione dei reati in questione". Quanto alla richiesta della documentazione, si comunicava che dal riesame del materiale dell'archivio emergevano "casi - peraltro non numerosi - di crimini tuttora impuniti, per i quali vi è una sufficiente documentazione". Questi casi si rivelarono essere venti, accuratamente selezionati e trasmessi, non si sa con quale esito, all'autorità tedesca.
Dalla metà degli anni sessanta fino al 1994 non accaddero eventi direttamente rilevanti per l'indagine conoscitiva.
Nel 1994 vi fu poi il ritrovamento dell'"armadio della vergogna". Si è innanzitutto provveduto a dissolvere l'archivio, perché esso non doveva trovarsi in quel luogo, che cinquant'anni prima doveva essere stato distribuito alle procure militari. Come vi ha già detto la professoressa Severino, i fascicoli sono risultati essere circa 700 (per la precisione 695) e sono stati distribuiti secondo il criterio della competenza territoriale: 2 a Palermo, 4 a Bari, 32 a Napoli, 129 a Roma, 214 a La Spezia, 108 a Verona, 119 a Torino e 87 a Padova. Sinora tale trasmissione ha determinato tre condanne all'ergastolo per tre stragi di grande rilievo: due sono del tribunale di Torino e una del tribunale di Verona. Tutti e tre i condannati sono contumaci (due sono tuttora in Germania ed un terzo è in Canada), per cui è stata chiesta, ma non ancora ottenuta, l'estradizione. Un altro processo è ancora in fase istruttoria. Si tratta forse di quello più rilevante, relativo alla strage di Sant'Anna di Stazzema, che ha coinvolto più di 500 civili, più di 100 dei quali bambini. Naturalmente il tempo trascorso rende molto difficili gli accertamenti, ma la magistratura militare ha svolto compiutamente il suo lavoro dopo il ritrovamento dei fascicoli.

c) Conclusioni.
Dalle audizioni svolte e dal materiale raccolto nel corso della indagine conoscitiva, in primo luogo, risulta evidente la responsabilità della magistratura militare ed, in particolare, dei Procuratori generali militari che si sono succeduti dal 1945 al 1974. L'illegalità ha avuto inizio dal primo dopo guerra, quando, anziché trasmettere i fascicoli alle procure militari competenti per territorio, si è preferito accentrarli presso un organo, quale la Procura generale militare presso il Tribunale supremo militare, che non aveva competenza al riguardo, non avendo alcuna competenza e responsabilità di indagine e di esercizio dell'azione penale. Come si è detto, l'esito della riunione del 20 agosto 1945 molto probabilmente non è stato quello di occultare i fascicoli, ma di accentrarli per poi smistarli, secondo il disegno tracciato dagli Alleati, secondo il quale la competenza per l'accertamento dei crimini di guerra si doveva suddividere tra l'Italia e gli Alleati, secondo criteri legati alla localizzazione del fatto incriminato od al grado dei militari coinvolti. Occorreva quindi una operazione di smistamento dei fascicoli. Tuttavia, neanche dopo il 1954, quando al dottor Borsari era succeduto il dottor Mirabella, i fascicoli vennero distribuiti alle procure competenti, così come peraltro non avvenne quando nel 1958 al dottor Mirabella subentrò il dottor Santacroce, il quale, anzi, adottò dei provvedimenti formali di "archiviazione provvisoria". In realtà, da nessun documento risulta che vi sia stata una volontà diretta, da parte dei magistrati militari, ad insabbiare i fascicoli relativi ai crimini di guerra. Tuttavia la costante violazione della legge a causa della mancata trasmissione dei fascicoli alle procure competenti, da parte di tre diversi soggetti, non può non far pensare ad un disegno unitario volto ad impedire la celebrazione di processi sui crimini di guerra. È da ritenere che i magistrati militari furono in realtà uno strumento in mano ai politici ed, in particolare, del governo. A tale proposito è opportuno ricordare che sino alla riforma del 1981 la magistratura militare non godeva delle guarentigie della indipendenza, terzietà ed imparzialità proprie della magistratura ordinaria e delle magistrature speciali. Prima di tale data la magistratura militare era organizzata verticalmente, per cui i magistrati dipendevano dal Procuratore generale militare, il quale veniva nominato dal Consiglio dei Ministri, che costituiva, nella persona del Presidente del Consiglio, il vero ed ultimo vertice della piramide. Solo con una direttiva politica dal vertice la vicenda in esame, con tutta l'illegalità che la caratterizza, può essere spiegata. Alla base della inspiegabile inerzia della magistratura militare vi fu, infatti, la "ragion di Stato", la quale, come abbiamo visto, dovrebbe essere stata determinata dalla "guerra fredda" che caratterizzava negli anni '50 e '60 non solo la politica internazionale degli Stati, ma anche quella interna. È da chiedersi se la scelta politica di non procedere all'accertamento dei crimini di guerra sia stata condizionata anche dal timore che l'Italia venisse coinvolta per la condotta di guerra antecedente all'8 settembre soprattutto nei Balcani. Si tratta di una considerazione espressa dagli alleati nel 1946, che però non ha trovato alcun riscontro nella realtà dei fatti.
A circa cinquanta anni di distanza dall'accadimento dei fatti è quanto mai arduo raggiungere la verità processuale sugli stessi. Gran parte dei procedimenti scaturiti dalle denunzie contenute nei fascicoli sono stati definiti con archiviazioni o sentenze di non luogo a procedere. Purtroppo la prescrizione dei reati, nei casi in cui operi, la dispersione negli anni delle fonti di prova, il decesso degli autori o l'impossibilità del loro riconoscimento sono tutti fattori che rischiano di lasciare impunite stragi naziste come, ad esempio, quelle di Cefalonia, di Fossali e di S. Anna di Stazzema. All'inerzia colpevole dello Stato, che per cinquanta anni non ha voluto cercare e perseguire i colpevoli, la magistratura militare sta cercando di porre oggi rimedio effettuando tutti quei processi, relativi ai crimini di guerra, che è ancora possibile svolgere. Vi è un debito morale di giustizia postuma nei confronti delle migliaia di vittime delle stragi di guerra, che le istituzioni devono oggi pagare, assicurando loro giustizia e tenendo vivo il ricordo di quanti si sono sacrificati per il bene della Patria e delle vittime inermi di raccapriccianti e vigliacche rappresaglie, espressioni della ingiustificata e inaudita ferocia delle forze naziste alleate della dittatura fascista. Bellona, le Fosse Ardeatine, Sant'Anna di Stazzema, Marzabotto, Boves e Fossali sono solo alcuni dei luoghi in cui sono state compiute le atrocità nei confronti di bambini, donne, anziani e uomini inermi. Proprio in riferimento a tali stragi, il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi ha ricevuto una delegazione composta dai sindaci di Carpi e di S. Anna di Stazzema e dai presidenti delle Associazioni partigiane combattentistiche, realtà promotrici del Comitato per la verità e la giustizia, il cui scopo è fare piena luce sulle 695 stragi nazifasciste oggetto della indagine conoscitiva. In tale occasione il Presidente della Repubblica, come ha affermato il sindaco di Carpi, ha confermato il suo impegno affinchè si ottengano verità e giustizia sulle stragi compiute dai nazifascisti in tante parti d'Italia a partire dal 1944, facendo peraltro riferimento anche alla indagine conoscitiva in corso presso la Commissione giustizia della Camera dei Deputati. Accanto alle stragi delle quali è stata vittima la popolazione civile vi sono poi gli eccidi dei soldati italiani e dei partigiani. Non si può non ricordare la strage di Cefalonia, nella quale 6.500 soldati italiani furono massacrati dalle truppe tedesche. Come ha sottolineato il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, in occasione della commemorazione dei caduti italiani a Cefalonia tenuta il 1o marzo 2001, "l'inaudito eccidio di massa, di cui furono vittime migliaia di soldati italiani denota quanto profonda fosse la corruzione degli animi prodotta dalla ideologia nazista". Il debito che ogni cittadino italiano ha nei confronti di chi è morto per la libertà della Patria può essere pagato ricordando i sacrifici compiuti. A tale proposito è opportuno richiamare nuovamente quanto affermato dal Presidente della Repubblica ultimamente a Cefalonia "Ai giovani di oggi, educati nello spirito di libertà e di concordia fra le nazioni europee, eventi come quelli che commemoriamo sembrano appartenere a un passato remoto, difficilmente comprensibile. Possa rimanere vivo, nel loro animo, il ricordo dei loro padri, che diedero la vita perché rinascesse l'Italia, perché nascesse l'Europa di libertà e di pace. Ai giovani italiani, ai giovani greci e di tutte le nazioni sorelle dell'Unione europea, dico: non dimenticate".

d) Interventi proposti.
Dalla breve indagine che la Commissione Giustizia ha svolto è emersa con tutta evidenza che l'inerzia in ordine all'accertamento dei crimini nazifascisti sia stata determinata dalla "ragion di Stato", le cui radici in massima parte devono essere rintracciate nelle linee di politiche internazionali che hanno guidato i Paesi del blocco occidentale durante la "guerra fredda". Si tratta di un tema che merita di essere approfondito nella prossima legislatura, al fine di delineare con maggiore precisione gli ambiti di responsabilità degli organi dello Stato coinvolti. Lo strumento più adeguato per raggiungere tale obiettivo è sicuramente l'inchiesta parlamentare ai sensi dell'articolo 82 della Costituzione.
La Commissione di inchiesta, della quale si auspica l'istituzione, non dovrà procedere all'accertamento delle responsabilità delle stragi di guerra, il cui compito spetta alla magistratura militare, ma verificare quali siano stati gli ostacoli che hanno impedito alla giustizia di fare il suo corso, anche nominando un Comitato composto da storici, al quale affidare il compito di procedere ad una esauriente ricostruzione storica del fenomeno. In tal senso, al termine dell'indagine conoscitiva, la Commissione giustizia sottolinea l'esigenza che agli storici italiani, studiosi di quella vicenda, sia messa a disposizione la documentazione custodita negli archivi italiani, (Ministero degli esteri, della difesa, della giustizia, dell'Arma dei carabinieri, della Procura generale militare). Il lavoro di ricostruzione storica di quel periodo è stato sinora affidato alla possibilità di consultare archivi stranieri (in particolare inglesi ed americani). La desegretazione, ove non rechi pregiudizio agli interessi dell'ordinamento tutelati dal segreto di Stato, appare oggi, da parte del Governo italiano, un atto concreto e affermativo di una volontà del paese di ricercare la verità storica di quei fatti, così facendo, insieme, un atto di giustizia.
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