Registro Generale n° 00383/1997
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.
SACCHETTI dott. Francesco Presidente
1.TERESI Renato Consigliere
2. ROSSI Bruno Consigliere
3. SILVESTRI Giovanni Consigliere
4. CANZIO Giovanni Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul conflitto di giurisdizione sollevato dal TRIBUNALE MILITARE di ROMA nel procedimento a carico di Erich PRIEBKE (n. il 29.07.1913);
sentita la relazione fatta dal Consigliere dott. Renato TERESI;
Sentite le conclusioni del P.G. dott. Bruno FRANGINI, nonché, le parti civili ritualmente costituite, come da verbale.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 15.10.1996 la Corte suprema di Cassazione, provvedendo sui ricorsi proposti dal Procuratore generale militare presso la Corte Militare di appello e di alcune parti civili avverso l'ordinanza della predetta Corte in data 29 luglio 1996 con la quale erano state rigettate le dichiarazioni di ricusazione nei confronti del Presidente del Tribunale militare di Roma dott. Agostino Quistelli nel procedimento contro Erich Priebke, così provvedeva:
a) annullava senza rinvio l'ordinanza impugnata
b) dichiarava l'inefficacia di tutti gli atti del giudizio cui si riferiva la dichiarazione di ricusazione della parte civile Giuseppe Nobili;
c) dichiarava la nullità della sentenza pronunciata dal Tribunale militare di Roma in data 1.8.1996;
d) rigettava il ricorso del Priebke.
Nel procedimento definito con la citata sentenza in data 1.8.1996 ad Erich Priebke era imputato:
"di concorso in violenza con omicidio continuato in danno di cittadini italiani (artt. 13 e 185 co.1° e 2° C.p.m.g., in relazione agli artt. 81 cpv., 110, 575 e 577 n. 3 e 4 e 61 n. 4 C.p.) per avere, quale appartenente alle Forze Armate tedesche, nemiche dello Stato italiano, in concorso con Kappler Herbert ed altri militari tedeschi (già giudicati), con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso ed agendo con crudeltà verso le persone, cagionato la morte di 335 (trecentotrentacinque) persone, per lo più cittadini italiani, militari e civili, che non prendevano parte alle operazioni belliche, con premeditata esecuzione a mezzo colpi di arma da fuoco; in Roma, in località "Cave Ardeatine", in data 24 marzo 1944, durante lo stato di guerra tra l'Italia e la Germania". A seguito dell'annullamento di cui in premessa il procedimento regrediva alla fase degli atti preliminari al giudizio innanzi ad altro collegio del Tribunale militare di Roma, appositamente costituito. Con sentenza del 4.12.1996 il Tribunale, provvedendo in sede di atti preliminari al giudizio, rilevava d'ufficio il proprio difetto di giurisdizione, ai sensi degli artt. 103 Cost. comma 3°, 20 Cpp. e 261 C.p.m.p. ed ordinava conseguentemente gli atti al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale civile e penale di Roma. Premesso che con sentenza del 21.11.1996 il difetto di giurisdizione era stato già rilevato dal Gip presso lo stesso Tribunale militare nel procedimento promosso separatamente nei confronti di altro coimputato (Karl Hass), destinatario di identica contestazione per gli stessi fatti, il Collegio militare deduceva le seguenti particolari argomentazioni a sostegno della decisione adottata:
1) - l'art. 6 del Decreto legislativo luogotenenziale n. 144/1946, nel dettare le norme processuali dirette a regolare il passaggio dall'applicazione della legge penale militare di guerra a quella di pace, stabilisce testualmente che i tribunali militari di pace sono competenti a conoscere dei reati militari preveduti dal codice penale militare di guerra commessi durante lo stato di guerra, nonchè dei reati contro le leggi e gli usi di guerra commessi dagli appartenenti alle Forze armate nemiche. Tale disposizione, ora, in quanto antecedente all'entrata in vigore della Costituzione repubblicana e, in particolare, a quanto previsto dall'art. 103 comma 3°, doveva considerarsi caducata, avuto riguardo all'immediata precettività della norma costituzionale. L'abrogazione tacita del citato art. 6, inoltre, conseguirebbe anche all'entrata in vigore della legge 11.12.1985 n.762 (contenente disposizioni dirette alla ratifica ed esecuzione del 1° Protocollo aggiuntivo alle Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949, nonchè del 2° Protocollo aggiuntivo alle Convenzioni stesse) sotto il profilo che il contenuto di quelle disposizioni portava a ritenere l'esclusione di norme speciali quale doveva ritenersi l'art. 6 D.L.L. 144/1946 siccome introdotto in, deroga agli ordinari criteri di rimessione dei procedimenti fissati dagli artt. 264 e 265 C.p.m.g.
2) - la carenza di giurisdizione dell'Autorità giudiziaria militare, poi, conseguirebbe anche a prescindere dalla ritenuta abrogazione (tacita) del richiamato art. 6 - all'interpretazione dell'art. 103 Cost. co. 3°, in quanto tale disposizione, ad avviso del Tribunale militare, si riferirebbe soltanto alla "Forze armate dello Stato italiano" e ciò avuto riguardo anche all'evoluzione della giurisprudenza costituzionale tendente a restringere sempre di più l'ambito della giurisdizione militare.
3) - ad identico risultato, secondo il Tribunale, si perverrebbe ancora, pur ritenendo estensibile la disposizione dell'art. 103 Cost. comma 3° agli appartenenti alle "Forze armate straniere", secondo quanto affermato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con decisione n. 57 del 28.10.1957 (ric. Wagner ed altri). Il più volte richiamato orientamento della Corte Costituzionale tendente a sottolineare, da un lato, la natura eccezionale della giurisdizione militare, e, dall'altro, il correlato principio, secondo cui la giurisdizione normalmente da adire è quella dei giudici ordinari anche nella materia militare (Corte Cost. n. 29/1958 e 429/1992) porterebbe infatti a ritenere interpretando ristrettivamente l'espressione "Forze armate" - che il criterio di ripartizione in favore dell'autorità giudiziaria militare operi solo e purché la forza armata (o il corpo armato) di appartenenza dell'imputato sia prevista - cioè esista come tale "al momento del processo". Tale conclusione, sempre ad avviso del Tribunale, deriverebbe dal principio affermato dalla stessa Corte Costituzionale con la decisione 28 maggio 1987 n. 207 nella quale, avuto riguardo all'entrata in vigore della legge 1° aprile 1981 n. 121 (legge sul Nuovo ordinamento dell'Amministrazione della pubblica sicurezza) si è ritenuta infondata la questione di illegittimità dell'art. 104 della citata legge, sollevata sotto il profilo della violazione dell'art. 25 Cost. Il giudice delle leggi, infatti, ha sottolineato nella sentenza in esame che l'espressione "soltanto" - contenuta nel testo del 3° comma dell'art. 103 Cost. - non sta ad indicare la esclusività della giurisdizione dei tribunali militari in tempo di pace, ma esprime la volontà del costituente che tale giurisdizione resti circoscritta entro limiti in nessun caso oltrepassabili. Da ciò la possibilità che la perdita della qualità di appartenente alla forze armate - che l'imputato rivestiva al momento della commissione del reato - faccia venir meno anche la giurisdizione militare. Sulle premesse che precedono, ora, il Tribunale ha ritenuto che la propria giurisdizione dovesse essere esclusa perchè, anche a prescindere dall'effettivo formale inquadramento del Corpo delle "SS" cui Erich Priebke sicuramente apparteneva al momento dei fatti - nelle "Forze armate tedesche", il notorio scioglimento di tale Corpo, nel frattempo intervenuto, aveva fatto venir meno l'attualità dello "status", preesistente, di militare.
4) - sul presupposto, contestato, della persistente le-gittimità costituzionale dell'art. 6 D.L.L. n.144/1946 ed avuto riguardo alla pronuncia della Corte Cost. n. 48/1959 che, invece, tale legittimità ebbe a ritenere, il Tribunale ha ancora prospettato (ovviamente in via, subordinata) l'opportunità di sollevare nuovamente tale questione "ex officio", alla luce degli incisivi inter-venti successivamente operati dalla stessa Corte in tema di competenza degli organi giudiziari militari, rispetto ai quali interventi l'art.6 appariva in contrasto con il principio di "ragionevolezza" di cui all'art. 3 Cost. Ha richiamato al riguardo le sentenze: n° 112/1986 (che ha escluso la giurisdizione militare per i reati di simulata e procurata infermità commessi dagli iscritti alla leva); n° 113/1986 ( che si è pronunciata nello stesso senso in relazione agli obiettori di coscienza ammessi a prestare servizio sostitutivo civile); e n° 429/1992 (secondo la quale la giurisdizione militare sarebbe limitata ai soli militari in servizio alle. armi o considerati tali dalla legge al momento del commesso reato). Osservava da ultimo il Tribunale. che la declaratoria di difetto di giurisdizione, sul piano processuale, non comportava l'inefficacia degli atti già compiuti nel procedimento in questione in tema di libertà personale. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale civile e penale di Roma - cui gli atti erano pervenuti a seguito dell'eccepito difetto di giurisdizione, trasmetteva a sua volta gli stessi atti al Gip in sede con richiesta di elevare conflitto di giurisdizione, investendo per la risoluzione dello stesso questa Corte e disponendo - per l'ipotesi che quel giudice fosse di contrario avviso - il rinvio a giudizio dell'imputato innanzi alla Corte di Assise "per le argomentazioni e le fonti di prova già evidenziate dal P.M. presso il Tribunale militare", previa emissione di ordinanza di custodia cautelare in carcere. Il P.M. sottolineava innanzitutto che ai sensi dell'art. 15 C.p.m.p. la legge penale militare si applica per i reati militari, ancorché scoperti o giudicati quando il colpevole abbia cessato di appartenere alle forze armate dello Stato e, inoltre che, secondo la giurisprudenza di legittimità (Sez. Unite 3 febbraio 1973 n. 2 - ric. Allers ed altri e, in precedenza, Sez. Unite 28.10. 1950 n. 57 - ric. Wagner ed altri), non solo la giurisdizione del Tribunale militare era applicabile anche agli appartenenti alle forze armate tedesche - avuto riguardo ad atti criminosi posti in essere da militari delle "SS" - che la stessa poteva essere esclusa soltanto per fatti riconducibili a mera persecuzione politica o razziale, ovvero per finalità. non collegate allo stato di guerra. Quanto all'assunto concernente l'intervenuto scioglimento del corpo delle "SS" ed al riferimento fatto dal Tribunale militare - alla smilitarizzazione del corpo delle guardie di pubblica sicurezza disposta dalla legge n. 121/1981 nonchè alle conseguenziali pronunce emesse dalla Corte Costituzionale, il P.M. ha contestato l'assunto in premessa, osservando che il corpo militare in questione era stato solo diversamente ordinato dopo gli eventi bellici del 2° conflitto mondiale, rimanendo peraltro immutate nell'ambito del. nuovo esercito germanico, le corrispondenti funzioni di "polizia militare". E ciò, dopo avere sottolineato che, notoriamente, il corpo in questione, nel periodo in esame, era articolato anche in regolari formazioni militari (dotate persino di divisioni corazzate) ed utilizzato, pertanto," in normali operazioni di guerra in prima linea. Con ordinanza in data 24.12.1996 il Gip presso il Tribunale civile e penale di Roma, in accoglimento dell'autonoma richiesta del P.M., ordinava la custodia cautelare in carcere di Erich Priebke. Con successivo provvedimento del 31.12.1996 lo stesso Gip, richiamandosi integralmente alle conclusioni del P.M. in punto di giurisdizione, sollevava comunque "d'ufficio" conflitto negativo", ordinando la trasmissione degli atti a questa Corte per la sua risoluzione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Osserva preliminarmente il Collegio che il Tribunale mi-litare ha rilevato d'ufficio il proprio difetto di giu-risdizione prospettando - seppur sotto profili in parte diversi argomentazioni sulle quali già si sono pronunciati il Tribunale territoriale di Roma con la sen-tenza n.631 del 20 luglio 1948 nei confronti di Kappler ed altri (processo al quale espressamente fa richiamo il capo di imputazione nei confronti di Erich Priebke - rif. pagg.31/35 di quel primo giudizio), nonchè il Tribunale supremo militare con la sentenza n.1714 del 25 ottobre 1952 emessa su ricorso di Herbert Kappler (rif. alle corrispondenti pagg.38/45). E' chiaro, ora, che da tali pronunce non deriva preclusione alcuna alla riproposizione delle stesse questioni, come è altrettanto chiaro che non v'è ostacolo alla delibazione delle questioni prospettate a seguito delle due sentenze già emesse da questa Corte nell'ambito dello stesso procedimento nei confronti di Erich Priebke e, precisamente:
a) nella n° 2639 del 24.4.1996, con la quale è stata dichiarata l'insussistenza dì un denunciato conflitto di giurisdizione;
b) nella n° 5293 del 15.10.1996, con la quale come precisato in premessa - è stata dichiarata, tra l'altro, la nullità della sentenza pronunciata dal Tribunale militare di Roma in data 1.8.1996, emessa in esito al procedimento di primo grado del quale è stata dichiarata anche l'inefficacia di tutti gli atti. La Corte ritiene peraltro necessario puntualizzare quanto sopra al fine di mettere in evidenza, da un lato - ed avuto riguardo al primo richiamo storico/giuridico cui si sono ripetutamente riferite le parti civili nelle memorie depositate in cancelleria prima dell'udienza che nel presente conflitto v'è la riproposizione di questioni già comunque affrontate, seppur in altro procedimento e, quindi, non nuove per la giurisprudenza costituzionale e di legittimità e, dall'altro, avuto riguardo alle sentenze n° 2639 e 5293 del 1996 - che attraverso le stesse, seppur in modo implicito - si doveva ritenere presupposta la giurisdizione oggi contestata, sebbene tale profilo non abbia formato specifico oggetto delle decisioni in esame, ma che, appare doveroso sottolinearlo, se carente, avrebbe dovuto comportare l'obbligo di un rilevamento d'ufficio, ex art. 20 comma 1° Cpp. Tanto premesso, anche per completezza di valutazione, si deve affermare che la decisione nel caso di specie appartiene sicuramente al giudice militare, apparendo prive di pregio tutte le argomentazioni prospettate per sostenere, invece, che essa spetterebbe a quello ordinario. Il difetto di giurisdizione è stato rilevato dal giudice militare sotto i profili che qui di seguito possono essere così riassunti:
1°) interpretazione letterale è sistematica dell'art. 103 comma Cost. e conseguente inefficacia sopravvenuta dell'art. 6 D.L.L. 21 marzo 1946 n.144, atteso il carattere immediatamente precettivo della norma costituzionale;
2°) sopravvenuta inefficacia della citata norma - comunque - per effetto dei principi richiamati nella legge 11.12.1985 n. 762 (ed in particolare dai commi 4 e 7 dell'art. 75 del primo Protocollo aggiuntivo alle convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949), che "sembrerebbero precludere - la possibilità, con il richiamo ai principi generalmente riconosciuti, di disposizioni di carattere speciale, quale certamente doveva ritenersi l'art. 6 in questione, siccome introdotto in deroga ai criteri ordinari fissati dagli artt. 264 e 265 c.p.m.g.";
3°) interpretazione, ancora, dei principi fissati dall'art.103 comma 3° Cost., avuto riguardo, in particolare, all'espressione "appartenenti alle forze armate": da intendersi riferita soltanto alle forze armate dello Stato italiano, con la conseguenziale non estensibilità della stessa agli appartenenti alle forze armate straniere;
4°) sopravvenuta evoluzione della giurisprudenza costituzionale, siccome tendente a sottolineare il carattere eccezionale della giurisdizione militare e ad affermare, invece, che la "giurisdizione normalmente da adire è quella del giudice ordinario anche nella materia militare (argomentazione ex sentenza n. 429/1992);
5°) ulteriore evoluzione della stessa giurisprudenza costituzionale sullo specifico punto concernente la necessità che lo "status di militare" debba sussistere al momento del processo e che ugualmente, al momento del processo, la "forza armata alla quale è riferita l'appartenza dell'imputato" sia prevista come tale (argomentazioni ex sentenze n° 29/1958, 207/1987, 78/1989 e 429/1992 in relazione, anche, alle disposizioni contenute nella legge 10 aprile 1981 n. 121 sul nuovo ordinamento dell'Amministrazione della pubblica sicurezza);
6°) applicabilità dei principi di cui al punto precedente anche per l'ipotesi in cui l'imputato sia un appartenente a forze armate straniere che siano state sciolte, essendo stato soppresso "medio tempore" il corpo delle "SS" nel quale Erich Priebke era inserito e ciò a prescindere dall'inquadrabilità o meno di detta struttura organica nelle forze armate, germaniche.
Sui punti n° 1 e 3
Osserva il Collegio che l'art. 6 del D.L.L. 12 marzo 1946 n.144 (contenente norme dirette a regolare il passaggio dall'applicazione della legge penale militare di guerra a quella di pace) dispone testualmente che "i tribunali territoriali di pace sono competenti a conoscere dei reati militari preveduti dal codice penale militare di guerra commessi durante lo stato di guerra e dei reati contro le leggi e gli usi di guerra commessi dagli appartenenti alle Forze armate nemiche". La specifica disposizione va letta inserendola nelle premesse del citato decreto e, precisamente, nel quadro delineato dall'art. 1 che così recita: "Con la cessazione dello stato di guerra preveduta dall'art.1 del decreto legislativo luogotenenziale 8 febbraio 1946 n. 49, cessano l'applicazione della legge penale militare di guerra, salva quanto è diversamente disposto dai codici penali militari e dal presente decreto". Dal coordinamento delle due norme appare evidente che il decreto legislativo luogotenziale n. 144/1946 - per quanto qui interessa rilevare - da un lato, determina la data alla quale cessa l'applicazione del codice penale militare di guerra, e, dall'altro, indica nei tribunali militari territoriali di pace già istituiti e regolati dagli artt. 271 segg. del corrispondente codice, in vigore, come l'altro, dal 1° ottobre 1941 - i giudici competenti a conoscere dei reati militari già preveduti dal codice penale militare di guerra commessi durante lo stato di guerra, nonchè dei reati contro le leggi e gli usi di guerra, aventi quali autori gli appartenenti alle forze armate nemiche. Va osservato a tal riguardo, innanzitutto, che trattasi all'evidenza, di disposizioni a carattere transitorio, ma non nel senso di eccezionali, ne tanto meno di speciali - secondo l'accezione tecnico/giuridica propria di tali espressioni - bensì dirette esclusivamente a fissare con certezza il fisiologico momento dell'operatività dei precostituiti tribunali militari di pace - e la loro competenza a giudicare anche le condotte illecite poste in essere dagli appartenenti alle forze armate nemiche - avuto riguardo all'intervenuta cessazione dello stato di guerra e, quindi, all'altrettanto fisiologica cessazione dell'operatività di quei tribunali il cui funzionamento e la cui giurisdizione erano già regolati, per quanto qui interessa, in particolare, dagli artt. 13, 22, 231, 235 commi 1° e 5°, 251 e 252 c.p.m.g. Sotto tale profilo, ora, non pare possa assolutamente dubitarsi della persistente vigenza del citato art. 6 e della sua altrettanto persistente compatibilità con il sistema costituzionale - ancorché sopravvenuto - dovendosi riconoscere anche al giudice militare, così come a quello ordinario, il carattere di "giudice naturale precostituito per legge" di cui all'art. 25 Cost. avuto riguardo alla "competenza" attribuitagli dalla stessa Carta fondamentale con l'art. 103 comma 3°, seppur circoscritta nei limiti soggettivi ed oggettivi a tal fine precisati. Tali conclusioni, d'altra parte, sono conformi all'orientamento - mai modificato - già espresso dalla Corte Costituzionale con le sentenze 8 aprile 1958 n. 29 (in tema di competenza per connessione ed avuto riguardo alla dedotta eccezione di illegittimità dell'art. 8 legge 23 marzo 1956 n° 167, ritenuta manifestamente infondata in relazione all'art. 103 comma 3° Cost.) e 15 luglio 1959 n. 48 (sullo specifico punto della legittimità costituzionale dell'art. 6 D.D.L.L. 21 marzo 1946 n. 144, affermata proprio in riferimento allo stesso art. 103 comma 3°). La sentenza n. 48, in particolare, ha preso particolarmente in esame le stesse argomentazioni sviluppate in modo specifico dal tribunale militare di Roma per ritenere la propria carenza di giurisdizione e cioè l'asserita abrogazione tacita dell'art. 6 del Decreto luogotenenziale n. 144/1946 e, inoltre, la non estensibilità anche agli appartenenti alle forze armate nemiche dell'espressione "forze armate" contenuta nell'art. 103 comma 3°: e ciò sotto i profili espressamente dedotti dell'indubbio carattere precettivo di tale ultima disposizione e del suo tenore letterale. Ma una lettura compiuta ed attenta della richiamata sentenza porta a rilevare che il tribunale militare, con la decisione adottata, mostra di stravolgere e persino di ignorare i principi costituzionali ivi affermati e sottolineati. Pronunciandosi nel merito e dichiarando non fondate le questioni prospettate, la Corte Costituzionale ha infatti messo chiaramente in evidenza il "carattere temporaneo" della giurisdizione dei tribunali militari di guerra" - richiamando espressamente, tra l'altro, gli artt. 22, 264, 266, 297 e 300 c.p.m.g. - e, correlativamente, la natura transitoria - ma nel senso della "carenza di un vero e proprio carattere innovativo" - della disposizione contenuta nel citato art. 6: siccome inserita, appunto, in un sistema di "preesistenti" norme della legge penale militare. Nell'ambito della specifica questione, poi, ha sottolineato l'insussistenza di qualsiasi contrasto tra l'art. 6 - sul punto in cui attribuisce ai tribunali militari di pace la competenza per i reati contro le leggi e gli usi di guerra commessi dagli appartenenti alle forze armate nemiche ed il contenuto dall'art. 103 comma 3° che mantiene "sia pure eccezionalmente" la giurisdizione dei tribunali militari, limitandola "soltanto" agli appartenenti alle forze armate, da intendersi per quelle dello Stato italiano. E' stato messo in evidenza, infatti, sempre su tale particolare profilo, da un lato, che la categoria dei reati contro le leggi e gli usi di guerra, richiamata: nella norma oggetto di specifico esame, "s'inquadrava anch'essa nel preesistente sistema della legge penale militare" - il cui articolo 13, espressamente, prevede l'applicabilità anche "ai militari e ad ogni altra persona appartenente alle forze armate nemiche", delle disposizioni contenute nel Titolo IV°, libro terzo del c.p.m.g. e, dall'altro, che lo spirito dell'apparente limitazione alle sole forze armate dello Stato italiano della riconosciuta persistente giurisdizione dei tribunali militari di cui all'art. 103 comma 3° Cost. andava ricollegato non alle particolari contingenze cui si riferiva l'art. 6, ma al suo collegamento al precedente art. 102: alla necessità, quindi, avvertita dal costituente, di riaffermare il principio dell'unicità della giurisdizione e di disciplinare rigidamente 'le eccezioni contemplate, appunto, dal "successivo" art. 103 commi 1, 2 e 3. Concludeva pertanto la Corte Costituzionale nel senso che alla luce della problematica affrontata negli artt. 102 e 103, il profilo concernente la particolarissima questione relativa alla competenza per i reati contro le leggi e gli usi di guerra doveva considerarsi del tutto al di fuori di qualsiasi seppur implicita previsione del legislatore costituente: con la conseguente esclusione della limitazione espressa dalla parola "soltanto" (di cui al 3° comma dell'art.103) a tale ipotesi. Così come emergeva dalla mancanza assoluta di qualsiasi riferimento su tale specifico e particolare punto. Alla luce delle osservazioni e dei richiami che precedono pare quindi al Collegio che debba ribadirsi quanto già prospettato in premessa, confermando la natura ed il carattere non solo processuale del citato art. 6, ma anche sostanzialmente non innovativo, siccome tendente a regolare e ad integrare - nel quadro del sistema vigente - quelle situazioni che, seppur inseribili nella disciplina degli artt. 264, 265 e 300 c.p.m.g. e dell'art. 15 c.p.m.p., potevano dar luogo ad incertezze. Il tutto, avuto riguardo, in particolare, ai reati commessi durante il periodo militare e successivamente scoperti, rispetto ai quali il conflitto mondiale appena concluso apriva prospettive del tutto peculiari.
Sui punti n° 2, 4 e 5
Dopo quanto sopra detto appaiono del tutto inconferenti anche i rilievi prospettati in relazione ai principi richiamati nella legge n. 762/1985 (in particolare dal primo Protocollo aggiuntivo alle convenzioni di Ginevra in materia) ed all'asserita evoluzione della giurisprudenza costituzionale, tendente ad affermare la preminenza della giurisdizione ordinaria, nonchè la necessità che lo "status" di militare sussista al momento del processo e che ugualmente la forza armata alla quale è riferita l'appartenenza dell'imputato sia prevista e permanga come tale. Al riguardo il Collegio ritiene esaustive le seguenti riflessioni, integrative di quelle già evidenziate:
a) nessuna rilevanza ha nel gaso in esame il richiamo alla legge n. 762/1985, in particolare sotto il profilo dedotto, tendente a prospettare la tesi già esclusa dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 48/1959 del carattere di norma speciale dell'art.6 decreto luogotenenziale n.144/1946, siccome introdotta in deroga agli artt. 264 e 265 c.p.m.g;
b) del tutto errati appaiono poi i riferimenti alle sentenze della Corte Costituzionale n. 29/1958, 207/1987, 78/1989 e 429/1992, in quanto:
b1) la prima, come sì è sottolineato in precedenza, si riferisce alla particolare problematica della competenza per connessione e, quanto allo specifico problema da affrontare nel presente giudizio, parte da presupposti di segno totalmente diversi da quelli asseriti dal Tribunale militare territoriale di Roma;
b2) la seconda, pur ribadendo la negazione del carattere esclusivo ed inderogabile della giurisdizione militare prospettata con riferimento alla smilitarizzazione del Corpo della Guardie di P.S. di cui alla legge n. 121/1981 ed all'attribuzione della competenza, anche per i processi pendenti, all'autorità giudiziaria ordinaria - ha sottolineato peraltro, proprio rispetto al diverso principio affermato nell'art. 15 del vigente c.p.m.p., che la differenza trova la sua spiegazione "nell'esplicita previsione contenuta nell'art. 104 della legge citata", da ritenersi, sotto il profilo costituzionale, affatto priva di razionalità avuto riguardo al profondo mutamento che la legge in questione aveva apportato nell'Amministrazione interessata;
b3) la terza, infine, perchè la declaratoria di illegittimità costituzionale parziale - pronunciata, tra l'altro, in relazione al denunciato contrasto tra gli artt. 9 r.d.l. n. 404/1934 (convertito nella legge n. 835 del 1935) e 263 c.p.m.p. con gli artt. 3 comma 1° e 31 comma 3° Cost. - è stata motivata, giustificando l'adottata opzione a favore della giurisdizione del giudice ordinario e del Tribunale per i minorenni in particolare sulla base di orientamenti e presupposti diversi da quelli che si vorrebbero ritenere assorbenti nella presente denuncia di conflitto. Per quanto qui interessa, infatti, la Corte Costituzionale ha sottolineato che, rispetto alla "specialità dei tribunali militari" - la cui giurisdizione doveva considerarsi eccezionale (ma, questo, come si già precisato, rientra nel l'interpretazione da sempre data agli artt. 102 e 103 Cost.) - la "specialità dei tribunali per i minorenni" doveva essere intesa quale una "particolare specificazione della giurisdizione ordinaria", alla quale non poteva disconoscersi il carattere di "prevalenza", ai sensi dell'art. 31 comma 2° Cost., atteso il valore costituzionalmente protetto che l'ordinamento giuridico attribuiva all'essenziale finalità del recupero del minore deviante, mediante la sua rieducazione ed il suo reinserimento sociale: con la conseguenziale necessità di favorire lo sviluppo ed il funzionamento dei tribunali per i minorenni istituiti, appositamente, per tale specifico ed esclusivo compito. Trattasi, pertanto ed all'evidenza, di tematiche e di profili del tutto estranei alla specifica problematica in esame.
b4) la sentenza n. 429/1992, infine, si riferisce anch'essa ad una fattispecie del tutto particolare, essendosi limitata La Corte Costituzionale a dichiarare in detta pronuncia l'illegittimità parziale dell'art. 263 c.p.m.p. per contrasto con l'art. 103 comma 3° Cost. sotto lo specifico profilo della previsione - contenuta nella predetta disposizione del codice militare - secondo la quale erano assoggettate alla legge penale militare tutte le persone cui è applicabile tale normativa, anziché "i soli militari in servizio alle armi o considerati tali dalla legge al momento del commesso reato": così escludendo dall'assoggettabilità alla giurisdizione militare i "militari in congedo". Ma, a ben vedere, anche qui, la riaffermazione del principio secondo il quale pur in un'indubbia evoluzione giurisprudenziale - viene ulteriormente ribadito il carattere eccezionale della giurisdizione militare e la conferma del correlato principio secondo cui la giurisdizione ordinaria è da considerare, per il tempo di pace, come la giurisdizione normale, non contrasta affatto con quanto chiaramente sottolineato nella sentenza n. 49/1958 che ha affrontato in modo specifico come si e messo in evidenza sub 1 e 3 le problematiche concernenti l'interpretazione dell'art. 103 comma 3° Cost; la persistente vigenza e legittimità costituzionale dell'art. 6 D.L.L. n. 144/1946 e, conseguentemente, l'applicabilità delle disposizioni contenute negli artt. 15 c.p.m.p. e 13 c.p.m.g., già citati. Il tutto, alla luce dell'espresso richiamo contenuto nell'art 6 citato - relativo all'attribuzione ai tribunali militari della "competenza" a decidere in ordine ai reati commessi contro le leggi e gli usi di guerra da appartenenti alle forze armate nemiche, che, come si é già sottolineato, è disposizione ricollegata a norme già preesistenti nell'ordinamento giuridico dello Stato: in particolare agli artt. 13 e 185 c.p.m.g., nonchè all'art. 22 stesso codice che così dispone "con la cessazione dello stato di guerra cessano l'applicazione della legge penale militare di guerra e l'esercizio della giurisdizione penale di guerra, salvo che la legge disponga altrimenti". E nessuna norma sopravvenuta come si visto ha introdotto modificazioni suscettibili di considerare mutato il quadro normativo indicato, che ha resistito a specifica censura di illegittimità costituzionale.
sul punto n. 6
Come si è già precisato, la denuncia di conflitto è stata prospettata, da ultimo, sotto il profilo che il corpo delle "SS", cui sicuramente apparteneva Erich Priebke, non poteva essere considerato come facente parte organi-ca delle forze, armate germaniche, avendo struttura e funzioni diverse - e comunque distinte - da quelle vere e proprie dei corpi militari tedeschi. Si è ritenuto al riguardo di fare riferimento a quanto affermato nella sentenza del Tribunale militare internazionale di Norimberga del 30 settembre 1943. Premesso che il richiamo anzidetto - generico e riferito ad altri soggetti - non può certamente fare stato nel presente procedimento, va sottolineato, innanzitutto, che il c.d. dato "storico - giuridico" affermato dal tri-bunale militare è parzialmente contraddetto dalla notoria operatività degli appartenenti al corpo delle "SS" su tutti i fronti di guerra nel corso del secondo conflitto mondiale; dalla loro organizzazione secondo gli schemi delle vere e proprie formazioni militari e, infine, dalla loro sottoposizione, ai fini militari; al co-mando tattico dell'esercito: come esattamente puntualizzato dal P.M. presso il Tribunale civile e penale di Roma nel trasmettere la sua richiesta al corrispondente Gip, e come d'altra parte emerge anche dal testo della richiamata sentenza del "Tribunale militare internazionale" di Norimberga, allegata in copia - con relativa traduzione giurata dalla difesa della parte civile Di Porto Alberto, in una alla memoria depositata presso la Cancelleria di questa Corte in data 3 febbraio 1997. Ed è appena il caso di rilevare al riguardo che altra è la valutazione delle diverse attività e dei diversi compiti, rispettivamente svolte ed assegnati nell'ambito della struttura in questione, altra quella da farsi nei confronti dei singoli appartenenti al detto corpo, in relazione alle specifiche operazioni nelle quali intervennero o furono impiegati: il tutto, chiaramente, anche alla luce del principio costituzionale di cui all'art. 27 della Carta fondamentale. In secondo luogo, va ulteriormente messo in evidenza che comunque, nel caso di specie a differenza di situazioni diverse nelle quali è stata esclusa l'esistenza del nesso eziologico tra lo stato dì guerra e la violenza esercitata da "militari appartenenti alle "SS" (cfr. Sez. Unite 23.3.1973 n. 2 ric. Allers ed altri) - detto nesso, nonchè il diretto collegamento con l'emanazione di ordini militari attinenti in modo specifico ad azioni inserite nel contesto bellico, risultano inequivocabil-mente riconosciuti nel procedimento definito nei confronti di Herbert Kappler e di altri al quale - non può essere ignorato - fa espresso riferimento il capo di imputazione formulato nei confronti di Erich Priebke. Ed invero, all'attuale imputato è stato formalmente con testato lo stesso reato ascritto alle persone coinvolte nel processo a suo tempo definito nei confronti di Herbert Kappler ed altri: in particolare, "in concorso con i predetti già giudicati". Non si può pertanto prescindere dalle premesse che precedono, costituenti i presupposti stessi sui quali nel procedimento di merito si è ritenuto di esercitare l'azione penale o, più esattamente, di proseguirla nei confronti di coloro che, già indagati a suo tempo, ebbero stralciate le loro posizioni nel corso dell'istruttoria (cfr. sentenza Tribunale supremo militare 25 ottobre 1952, pag. 64). Resta pertanto del tutto al di fuori del l'ambito della decisione devoluta a questa Corte suprema ogni altra questione che non si riferisca alla condotta specificamente ascritta all'imputato ed al contesto nel quale è stata inserita, con la conseguenza che, ai fini della risoluzione del sollevato conflitto di giurisdizione, è sufficiente ed esaustivo il criterio dettato dagli artt. 1 e 2 c.p.m.p. avuto riguardo alla identificazione delle persone soggette alla legge penale militare, nonchè di quelle da ritenere comunque ricomprese nella "denominazione" di "militari". Il conflitto deve essere pertanto risolto dichiarando che la giurisdizione si appartiene al Tribunale militare e non al giudice ordinario.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione, Sez. l° penale, visti gli artt. 615 e 32 C.P.P. risolvendo il conflitto dichiara la giurisdizione del Tribunale militare di Roma, cui ordina trasmettersi gli atti, per il giudizio..
Così deciso in Roma in camera di consiglio il 10.2.1997.
IL PRESIDENTE
(F. Sacchetti)
L'ESTENSORE
R. Teresi