La seduta comincia alle 11.30
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente
Sulla pubblicità dei lavori
PRESIDENTE. Se non vi sono obiezioni, rimane stabilito che la pubblicità dei lavori sia assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito)
Audizione del professor Paolo Pezzino, direttore del Dipartimento di storia moderna e contemporanea dell'università degli studi di Pisa
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul rinvenimento di fascicoli relativi a crimini nazi-fascisti, l'audizione del professor Paolo Pezzino, direttore del Dipartimento di storia moderna e contemporanea dell'università degli studi di Pisa. Ringrazio a nome della Commissione il professor Pezzino, che dirige il primo gruppo di ricerca finanziato dal Ministero dell'università e ricerca scientifica e che da cinque anni lavora su questi temi, e gli do senz'altro la parola.
PAOLO PEZZINO, Direttore del Dipartimento di storia moderna e contemporanea dell'università degli studi di Pisa. Ringrazio a mia volta la Commissione per la possibilità che mi offre di fornire qualche informazione in merito alle vicende relative alle punizioni per crimini di guerra in Italia dopo la fine della seconda guerra mondiale. Ho lasciato una selezione minima della documentazione che in questi anni abbiamo raccolto negli archivi di Londra, Washington, Roma; sono i documenti che forniscono la traccia di questa audizione. Vorrei precisare che la maggior parte della documentazione è stata raccolta presso il Public record office di Londra e presso il National archives di Washington perché già nel corso della guerra, dopo la liberazione di Roma, quando cominciano ad arrivare agli alleati notizie sui crimini che venivano commessi (soprattutto stragi di popolazioni civili da parte di truppe tedesche), furono istituiti due gruppi investigativi, uno dagli inglesi (si chiamava Special investigation branch) e l'altro dagli americani, con il compito di raccogliere subito, come delle vere e proprie indagini giudiziarie formalizzate, le prove di questi crimini, prevedendo già da allora una punizione dei colpevoli. Questa corposa documentazione, che è di notevolissimo interesse, poiché riguarda indagini su una cinquantina di episodi di strage, è stata raccolta negli archivi americani e inglesi e da circa sette anni è stata messa a disposizione degli studiosi. Viceversa, devo lamentare una quasi totale mancanza di documentazione su questi temi negli archivi italiani. Questi ultimi, almeno per la parte versata presso l'Archivio centrale dello Stato - Fondo Ministero degli esteri e Presidenza del consiglio, hanno notevoli buchi; anche quando abbiamo rintracciato negli inventari fascicoli recanti l'intestazione "Crimini di guerra" oppure "Fondo Medici-Tornaquinci", che era il sottosegretario presso il Ministero per Italia occupata che presiedeva la commissione centrale per i crimini di guerra istituita nel 1944, essi sono letteralmente scomparsi. La dottoressa Carucci, sovrintendente archivistica dell'Archivio centrale dello Stato, non è in grado di spiegarne il motivo: la scomparsa comunque è di vecchia data. Quanto dirò si basa prevalentemente sulla documentazione straniera. Ho diviso la documentazione che vi ho portato in quattro gruppi fondamentali. Nel primo gruppo si analizza soprattutto la costituzione della commissione centrale per l'accertamento delle atrocità commesse dai tedeschi e dai fascisti. Essa viene istituita il 26 febbraio 1945 ed integrata il 26 aprile dello stesso anno. La dirige Aldobrando Medici-Tornaquinci; era un uomo politico liberale, sottosegretario di Stato del Ministero dell'Italia occupata; vi ricordo che il ministro era Mauro Scoccimarro. Questa commissione entra immediatamente in rapporto con gli alleati ed in particolare con gli americani. C'è un appunto del quartier generale alleato del 26 maggio 1945 che testimonia la visita del giudice Piero Berretta, inviato dal Ministero dell'Italia occupata, che comunica la composizione della commissione. In questo incontro si decide che in quella fase siano gli italiani ad assumere piena responsabilità per quanto riguarda la verifica e la punizione dei crimini di guerra. La documentazione inglese - si tratta anche di appunti ad uso interno - conferma questa disponibilità alleata a fornire agli italiani la documentazione raccolta da queste sezioni investigative, anche se lascia aperta la questione se poi i colpevoli debbano essere puniti da un tribunale italiano oppure da uno alleato. Da questo primo blocco di documentazione, che riguarda il periodo febbraio-giugno 1945, si ricava che in questa prima fase il Governo italiano aveva preventivato di effettuare una azione di ricerca dei colpevoli, azione che trovava il sostegno degli alleati, e che vi erano rapporti a livello istituzionale tra Governo italiano e quartier generale. Il secondo blocco di documenti è relativo invece all'estate 1945 ed è di origine inglese. Esso riveste un grande interesse perché dimostra che già nell'agosto 1945 sono state acquisite alcune linee di fondo in ordine alla politica da seguire nei confronti dei criminali di guerra da parte degli alleati. Si tratta fondamentalmente di un rapporto che raccoglie tutte le conclusioni relative alle indagini condotte dagli inglesi sugli episodi di crimini di guerra (al rapporto è infatti allegato un cospicuo volume in cui vengono elencati uno ad uno tutti i casi indagati, quasi un centinaio) ed elabora le linee politiche generali. Queste ultime sono fondamentalmente due. In questa fase si decide che, per quanto riguarda i gradi più alti, i generali tedeschi, siano gli inglesi ad occuparsi della loro punizione in tribunale. La motivazione che viene fornita è che si ha paura che gli italiani non abbiano le risorse tecniche necessarie né soprattutto l'energia per portare avanti un simile processo. Si decide di celebrare due grandi procedimenti giudiziari: il primo riguarda l'episodio delle Fosse Ardeatine, per il quale si propone di mettere sotto processo Kesserling, Mackensen, che comandava la XIV annata, Maeltzer, comandante della piazza di Roma, e forse altri generali, come il comandante della Hermann Goering Harster e Wolff, comandante delle SS. Soprattutto si raccomanda di tenere un processo unico per quanto riguarda i comandanti di annata, di corpo e di divisione. Insomma, nell'agosto 1945 gli inglesi hanno acquisito prove sufficienti sul fatto che la condotta bellica dei tedeschi nei confronti delle popolazioni italiane (dei tedeschi in generale, e non soltanto di truppe specialistiche, perché è riportata tutta la catena di ordini inviata da Kesserling all'esercito) configura un atteggiamento ed una volontà terroristici nei confronti della popolazione civile tale da giustificare una vera e propria "Norimberga italiana", cioè un grande processo per crimini di guerra che dovrebbe svolgersi subito dopo la chiusura del processo di Norimberga. C'è quindi una volontà precisa di arrivare ad una piena punizione di colpevoli. Sempre in questa fase, nell'agosto del 1945, si ritiene viceversa che agli italiani debbano essere lasciati i processi per i responsabili dal grado di colonnello in giù. Sarebbe dovuta intervenire, insomma, una sorta di ripartizione di responsabilità: ad una corte militare britannica, che avrebbe naturalmente rappresentato gli alleati, sarebbero stati riservati questi due grandi processi ai capi, mentre agli italiani sarebbe stata affidata l'individuazione di tutti i responsabili minori dei vari episodi. Il terzo blocco di documentazione riguarda la preparazione di questo grande processo di "Norimberga italiana". Si tratta di un blocco molto interessante: c'è una lettera del 9 aprile 1946 del comandante generale in capo delle truppe inglesi al sottosegretario di Stato alla guerra a Londra relativa ai preparativi di questo grande processo. Si presuppone che sarà un processo di grande mole, con addirittura circa 50 difensori; si dice che il processo sarà complicato e si richiede l'utilizzazione del sistema fonico già impiegato a Norimberga per le traduzioni istantanee. Vi sono anche alcune interessanti considerazioni sull'effetto positivo che sull'opinione pubblica italiana avrebbe la celebrazione di un simile processo; si chiede quindi al Governo italiano di trovare una sede adeguata, che secondo gli inglesi non poteva essere se non a Roma o Milano. In un altro documento, sempre dell'aprile 1946, dell'ufficio della procura militare inglese, ci si chiede se sia giusto lasciare agli italiani la responsabilità dei procedimenti minori perché c'è una larga percentuale di popolazione italiana - così afferma il documento - contraria a questi processi poiché sa bene che sarebbero coinvolte anche molte persone di nazionalità italiana. E' una considerazione che torna continuamente in questo momento: è ben chiaro che l'Italia, da un lato, ha subito una serie di violenze da parte dell'esercito tedesco dopo che quest'ultimo si era trasformato da esercito alleato in esercito di occupazione, ma dall'altro anche che gli italiani sono coinvolti in episodi violenti commessi nell'ambito della condotta di guerra prima dell'8 settembre, soprattutto nella zona balcanica. C'è quindi qualche perplessità perché spingere sull'acceleratore dei processi potrebbe significare anche coinvolgere molti italiani, naturalmente per episodi di altro tipo. La richiesta è comunque quella di portare avanti il processo, perché esso potrebbe sollevare il morale generale della popolazione italiana. Un altro documento interessante risale al maggio 1946; è del direttore degli uffici del personale, sempre in merito al sistema fonico installato dagli americani a Norimberga, che andrebbe richiesto a questi ultimi. Ho qui ritrovato uno degli scarsi esempi di documentazione italiana, presso l'archivio del Ministero degli affari esteri, in un fascicolo intitolato "Affari politici - Germania", da cui risulta che nel giugno 1946 il Ministero degli affari esteri, che allora era tenuto da De Gasperi ad interim, aveva addirittura scritto agli inglesi rivendicando il diritto di giudicare anche i generali. L'Italia manifesta una volontà di perseguire i generali colpevoli, anche se comprende probabilmente che vi sono perplessità di natura politica rispetto ad un coinvolgimento dell'Italia. Il fatto che un importante processo per crimini di guerra contro italiani tenga fuori il Governo italiano
rappresenta un problema. Si chiede quindi che questo processo venga istruito da una corte mista italo-inglese. Vi è poi la traduzione di un appunto alleato da cui si deduce che il processo verrà celebrato da una corte britannica e che ancora si stanno ricercando i colpevoli della strage di Cefalonia. Sempre alla fine del 1946 vengono trasmessi al Governo italiano dal Governo americano - secondo il principio per cui dal grado di generale in giù i criminali di guerra avrebbero dovuto essere processati dagli italiani - tutti i fascicoli delle indagini fatte dagli americani relativamente ai crimini di guerra. Nei
fascicoli presenti nell'archivio di Washington si trovano una serie di indicazioni, una sorta di stampigliatura, concernente la chiusura amministrativa e recante la formula "trasmesse al Governo italiano", poiché le vittime sono tutte di nazionalità italiana. Si può verificare come, nella maggior parte, si tratti di trasmissioni che avvengono il 5 o il 10 dicembre 1946. Viene quindi chiaramente attuata una linea politica precisa: da un lato, si deve celebrare la "Norimberga italiana", dall'altro si trasmettono al Governo italiano i fascicoli delle indagini svolte dagli americani. Si tratta di indagini minori fino un certo punto, perché riguardano i fatti di Sant'Anna di Stazzema, di Fucecchio, eccetera, cioè alcune delle stragi più efferate avvenute in Italia. C'è una responsabilità generale dei capi delle forze armate tedesche, ma queste indagini individuano anche i responsabili materiali dei singoli episodi. La svolta si verifica in occasione del processo a Kesserling. Vi fornisco qualche dato. I processi effettuati da corti militari britanniche in Italia per crimini di guerra sono in tutto 49; non sono tutti processi contro tedeschi, perché alcuni riguardano gli italiani (ad esempio per maltrattamenti di prigionieri di guerra inglesi nei campi di prigionia). I grandi processi celebrati dagli inglesi sono, per quanto riguarda le Fosse Ardeatine, quelli ai generali Mackensen e Maeltzer, i quali, nel novembre 1946, vengono condannati a morte. C'è poi il processo a Kesserling, tenuto a Venezia da un tribunale militare inglese, che è quello più importante per la valenza anche simbolica che assume. Kesserling è il comandante in capo delle forze armate tedesche in Germania, ma non era il comandante di qualche reparto speciale: è un feldmaresciallo proveniente dall'aviazione. Questo processo dura dal febbraio 1947 al 6 maggio 1947. Durante questo processo, a Padova si apre quello ad un generale delle SS per l'uccisione di 17 partigiani vicino a Torino e di 11 civili a Borgo Ticino: è l'unico processo che si conclude con un'assoluzione. Il 6 maggio 1947 Kesserling viene condannato a morte. Questo è il momento di svolta. Il quarto blocco di documentazione dimostra come già dal 7 maggio in Gran Bretagna parte una forte pressione a favore di Kesserling. Il primo documento interessante, che risale proprio al 7 maggio, proviene dalla segreteria del Primo ministro inglese ed è diretto al ministero della guerra, in cui si dice: "Vi ricordo che l'altra notte mister Churchill mi ha telefonato per dirmi che è angosciato per la sentenza del processo Kesserling e che pensa di sollevare la cosa in Parlamento". L'8 maggio c'è un intervento a favore di Kesserling del generale Alexander, che scrive dal Quebec al Primo ministro dicendo che è stato colpito dalla sentenza Kesserling poiché egli, come ex nemico, non ha alcuna lamentela dal fare nei suoi confronti, dal momento che Kesserling ha combattuto in modo duro ma leale. Il maggio 1947 è il mese in cui viene rilanciata la dottrina Truman; il 12 marzo di quell'anno il presidente Truman, davanti al Congresso americano, aveva detto che si apriva una nuova guerra tra mondo della libertà e mondo del totalitarismo. E' chiaro che in questo contesto politico la Germania, seppure divisa, diventa il tassello di un mosaico importante; non conviene insistere sul tema dei crimini di guerra tedeschi ed in effetti, nella documentazione che ho portato, si riflette tutto questo imbarazzo. Kesserling è stato condannato a morte: come uscirne? Vi è una lettera diretta di Churchill al Primo ministro Attlee in cui egli dice chiaramente che è sua opinione che si tratti di un problema di politica pubblica domandarsi se processi per omicidio dei leader del nemico sconfitto non abbiano ormai esaurito qualsiasi utilità che potessero aver avuto in passato. Churchill dice chiaramente che sono passati due anni, che il contesto è diverso e che quindi i processi non si devono più svolgere. Attlee risponde il rassicurando Churchill sul fatto che comunque ci sarà tempo sufficiente, tra l'annuncio della sentenza e la possibilità di sua commutazione, affinché Churchill possa, se vuole, intervenire pubblicamente per chiedere la commutazione stessa. Questa mobilitazione a favore di Kesserling ottiene il suo risultato perché il 29 giugno 1947 il generale Harding, che era il comandante in capo delle forze inglesi ancora presenti in Europa, commuta la sentenza di morte di Kesserling in ergastolo, utilizzando una serie di argomentazioni che dimostrano anche la difficoltà giuridica in cui gli stessi inglesi ed americani si sono trovati nell'affrontare processi che presuppongono una elaborazione giuridica in merito ai crimini di guerra e a quelli contro l'umanità che loro stessi non possedevano. Le argomentazioni sono di tre tipi. Fondamentalmente si riconoscono a Kesserling una serie di attenuanti per essere stato un combattente leale e si riporta esplicitamente la deposizione di Alexander; in secondo luogo, si riconosce - le argomentazioni di Harding su questo punto richiamano addirittura quelle difensive dei tedeschi - la necessità di Kesserling di proteggere le proprie truppe dalle attività partigiane. Tenete presente che nei documenti precedenti, quelli del 1945-1946, nei quali invece c'era una forte volontà di condannare i tedeschi, questo tipo di argomentazione veniva portata a sostegno dell'opportunità di un processo generale. Gli inglesi dicevano che erano stati loro a sollecitare più volte i partigiani alla lotta (in effetti si riferivano all'estate 1944, quando a più riprese Alexander chiamò i partigiani dell'Italia centrale ad un insurrezione generale contro i tedeschi nel momento in cui, dopo la presa di Roma, sembrava che questi ultimi fossero in rotta ed il consolidamento del fronte sulla linea Gotica non fosse così sicuro); gli inglesi affermano che, proprio a seguito di questa attività partigiana, vi sono state azioni di rappresaglia contro le popolazioni civili, e che è loro dovere morale processare i responsabili di queste azioni. Un anno dopo l'argomentazione viene assolutamente ribaltata e si dice che Kesserling aveva la necessità di difendere il proprio esercito. Ma ancora più grave ed è il terzo tipo di argomentazione, secondo la quale nella seconda guerra mondiale era molto difficile distinguere tra civili e combattenti. Si trattava di una guerra globale e, soprattutto a seguito dell'attività partigiana, i civili potevano trovarsi implicati in un'azione di sostegno ai partigiani. Pertanto si afferma che vi sono incertezze di diritto sulla liceità delle rappresaglie: in sostanza, si lascia addirittura aperta la strada ad una liceità delle rappresaglie secondo le convenzioni militari internazionali. In realtà gli esperti di diritto militare sanno che già allora tale liceità non era prevista. Le rappresaglie nei confronti della popolazione civile non arrivavano mai all'uccisione indiscriminata di vecchi, donne e bambini; vi potevano essere procedure che arrivavano anche a condanne a morte, ma in ogni caso si trattava di procedure formalizzate, con l'istituzione di corti militari. Nel giugno 1947 il generale Harding decide la commutazione della pena per Kesserling, per Mackensen e per Maeltzer. L'ultimo processo che si celebra è del 26 giugno 1947, a Padova, contro il generale Max Simon, comandante della XVI divisione Panzer delle SS, responsabile di una catena di eccidi tra i più sconvolgenti nella zona della Versilia (Sant'Anna di Stazzema, Bardine, San Terenzo, eccetera). Anch'egli viene condannato a morte, ma viene immediatamente graziato: è l'ultimo processo per crimini di guerra che si svolge in Italia. Il documento successivo già reca traccia di questo cambiamento di rotta. Esso risale al 19 febbraio 1948: è della procura militare generale inglese e fa riferimento ad una riunione tenuta con il Foreign office il 10 dicembre 1947, nella quale è stata presa la formale decisione di non celebrare più alcun processo in futuro con corti militari britanniche in Italia per crimini di guerra. Si tratta di una dimostrazione del fatto che con il dicembre 1947 si chiude la stagione dei crimini di guerra, tant'è che a quella data vi erano ancora alcuni alti ufficiali tedeschi in mano agli inglesi, per i quali si stava istruendo il processo (il generale Schmalz, comandante della Gestapo in Italia, il generale Harster, comandante della Hermann Goering, una divisione particolarmente specializzata in azioni di rappresaglia contro civili): si dice che se gli italiani lo chiederanno questi generali verranno consegnati agli italiani perché siano questi ultimi ad istituire un processo. Da questo documento si deduce quindi che gli inglesi nel dicembre 1947 hanno deciso di non svolgere più alcun processo per crimini di guerra, ma non hanno deciso che gli italiani, volendo, non avrebbero potuto celebrarli loro, tant'è che si riservano di consegnare questi generali insieme a Reder, che era ancora nelle loro mani. Come sapete, il processo a Reder viene tenuto poi a Bologna nel settembre 1951, l'ultimo grande processo tenuto in Italia, questa volta da un tribunale militare italiano. Questa è la documentazione relativa al periodo 1943-1948, dalla quale si deduce che, per motivazioni prevalentemente politiche, nel maggio 1947 l'orientamento per una "Norimberga italiana" viene meno, per essere sostituito dalla decisione di frenare i processi per crimini di guerra. Che cosa però sia successo da questa data fino alla prima documentazione che troviamo (lo scambio di lettere fra il ministro degli esteri Martino e il ministro della difesa Taviani) riportata nella relazione del Consiglio superiore della magistratura militare deve essere frutto di una ricerca che secondo me potrebbe essere effettuata. E' mia personale convinzione che gli italiani avevano comunque margini di autonomia nel processare, tant'è che Reder viene processato nel 1951. Si torna insomma al discorso precedente: mancano le carte. Occorrerebbe - non so se ciò sia nei poteri della Commissione - sollecitare il Governo affinché chieda a tutti gli enti che hanno documentazione su questo specifico punto di metterla a disposizione della Commissione. Mi riferisco fondamentalmente al
Ministero degli esteri, a quello della difesa, alla Presidenza del Consiglio (e in misura minore al Ministero di grazia e giustizia, perché la questione riguardava soprattutto i tribunali militari), alla procura generale militare e anche all'arma dei carabinieri. Nei fascicoli trovati nell'armadio la cui scoperta ha dato origine a questa indagine conoscitiva molte delle denunce per procedimenti di crimini di guerra provenivano proprio dall'Arma dei carabinieri. Sono quindi convinto che l'Arma sia in possesso di molti documenti utili. Con riferimento alle altre vicende di cui parla il Consiglio della magistratura militare, vale a dire la trasmissione alla magistratura tedesca, nel 1965, di una serie di fascicoli per i crimini di guerra che erano stati richiesti dalla Germania in previsione che scattasse il termine di 20 anni che avrebbe comportato l'estinzione del reato per crimini nazisti, la relazione del Consiglio della magistratura militare si chiede se questi fascicoli siano stati poi effettivamente consegnati. Posso dire che essi sono stati consegnati poiché negli archivi tedeschi, soprattutto in quelli della procura militare, ho ritrovato la nota verbale del Ministero degli esteri italiano del 9 marzo 1965, in cui vengono elencati tutti i fascicoli ricevuti dai tedeschi. Si tratta di 20 fascicoli trasmessi dalla procura generale militare di Roma, ma anche di materiale trasmesso dal tribunale militare di Padova, dalla procura presso il tribunale di Bari, dalla questura di Napoli, dal comune di Schilpario in provincia di Bergamo, dalla prefettura di Vicenza, dalla procura di Torino, dalla procura di Ariano Irpino, da quella dell'Aquila e da quella di Bologna. Ci fu quindi nel 1965 una effettiva trasmissione di questi fascicoli. Certo, analoga trasmissione non avvenne per molte importanti stragi. Indagando su singoli episodi di strage, mi sono trovato di fronte ad un'indicazione chiara a seguito delle indagini inglesi dei responsabili, che nessuno ha mai ricercato né in Germania né in Italia. Sono questi gli elementi conoscitivi che posso fornirvi sulla vicenda, che chiaramente si inquadra in un contesto internazionale caratterizzato dalla guerra fredda ma che evidenzia anche una difficoltà di elaborazione giuridica; del resto, sono dovuti passare più di cinquant'anni dal processo di Norimberga per arrivare al tribunale internazionale per i crimini di guerra e contro l'umanità. Credo comunque che l'Italia, se avesse voluto, avrebbe potuto perseguire una propria politica di ricerca dei colpevoli di molti di questi episodi. Non credo che gli alleati l'avrebbero bloccata, come non hanno bloccato il processo a Reder del 1951.
PRESIDENTE. La ringrazio, professor Pezzino.
GIOVANNI MELONI. Ringrazio a mia volta il professor Pezzino perché mi pare che ciò che egli ci ha detto sia illuminante, ai fini della nostra indagine, a proposito di alcuni aspetti di cui chiederei conferma al professore stesso. Fino al 1947, in sostanza, vi è una volontà concorde da parte degli alleati e delle autorità italiane di procedere nel perseguimento dei crimini di guerra. Anzi (lei non lo ha ricordato ma è contenuto nella relazione del Consiglio della magistratura militare) nel 1945 si era svolta una riunione a livello di Governo italiano in cui si era deciso di accentrare tutta la documentazione, in modo che essa fosse trasmessa alle procure militari competenti per la prosecuzione dell'azione penale. Dal 1947 in poi, per le ragioni politiche che lei ha chiaramente spiegato, l'atteggiamento degli alleati in particolare quello degli inglesi ma anche degli americani - cambia radicalmente. Sembrerebbe però non cambiare l'atteggiamento delle autorità italiane, le quali in qualche misura continuano a procedere in un'attività che appare quanto meno preparatoria della celebrazione dei processi o comunque dello svolgimento delle indagini e dell'erogazione delle relative punizioni. Vi è poi il "buco" del quale lei ha parlato, per arrivare fino al 1956, quando si trova un carteggio tra il Ministero degli esteri e quello della difesa in cui sostanzialmente si adotta un atteggiamento - quello della valutazione di non opportunità dei processi - che sembra ricalcare anni dopo quello che nel 1947 aveva caratterizzato l'orientamento degli alleati. Mi pare che l'aspetto interessante per la nostra indagine sia quello di spiegare le motivazioni della "archiviazione abnorme" del 1960. Mi riferisco all'archiviazione provvisoria dei 695 fascicoli, che vengono gelosamente custoditi perché anche quando nel 1965-1968 si verificherà la trasmissione di alcuni fascicoli alle autorità tedesche per evitare la prescrizione, vengono mandati solo, quelli relativi a reati già prescritti o contro ignoti. Anche in tale occasione, invece, quei 695 fascicoli vengono mantenuti nascosti. Sulla base delle interessantissime notizie che ci ha fornito oggi, direi che sarebbe importante ricostruire come, tra il 1947 (quando ancora permaneva una volontà italiana di continuare nelle indagini ed eventualmente nella punizione dei colpevoli e la disponibilità manifestata dagli alleati a fornire la documentazione e addirittura le persone che erano in loro possesso affinché fossero processate) e gli anni successivi sia potuto cambiare quell'atteggiamento, in particolare tra il 1947 e il momento in cui si è certi che tale orientamento sia cambiato, per lo meno a certi livelli di governo. Un altro aspetto importante, anche ai fini del nostro lavoro, è quello relativo al fatto che esiste ancora una documentazione concernente questo periodo che potrebbe essere raccolta e che forse è dispersa e non in possesso di archivi centrali in cui si possano svolgere ricerche.
PAOLO PEZZINO, Direttore del Dipartimento di storia moderna e contemporanea dell'università degli studi di Pisa. Lei ha colto perfettamente il senso della mia relazione. Fino al 1948 la documentazione esiste, così come esiste una concorde volontà degli italiani e degli alleati, anche se - come ho detto - nel giugno 1947 gli inglesi decidono di bloccare i procedimenti per crimini di guerra da loro direttamente celebrati. Il documento del gennaio 1948 mette comunque a disposizione degli italiani alcuni generali che avevano avuto un ruolo importante: il comandante della Gestapo in Italia non era una figura secondaria. Quanto a cosa sia successo da quel momento in poi posso fare solo delle ipotesi, non avendo reperito documentazione. E' un po' paradossale che noi storici, che lavoriamo su questi temi, dobbiamo rivolgerci solo agli archivi stranieri perché non c'è disponibilità di documentazione in quelli italiani. In parte questo deriva da una legislazione archivistica che, soprattutto in America ed in Gran Bretagna, è più pragmatica: non vi sono regole fisse e generali, ma solo una declassificazione di documenti che avviene su blocchi specifici. Per esempio, gli americani hanno da poco declassificato documenti di trent'anni fa sul tema della CIA e dei servizi segreti. In Italia esiste un limite generale di 50 anni, che poi diventa di 70 anni per alcuni casi, qualora non vi siano documenti coperti da segreto di Stato o addirittura non versati. Ad esempio, la documentazione del Ministero degli esteri non è versata nell'Archivio centrale dello Stato. Pertanto, con la documentazione di cui attualmente dispongo, non sono in grado di colmare il "buco" di cui si è parlato; spero proprio che da questa Commissione emerga una raccomandazione forte affinché venga messa a disposizione una documentazione che ormai ha un valore storico: si tratta di ricostruire una parte non secondaria della nostra storia nazionale. Ancora oggi molte persone aspettano giustizia, la quale secondo me può consistere almeno nel raccontare come sono andate veramente le cose, e non certo nell'individuazione di responsabili che, qualora fossero ancora vivi, avrebbero più di novant'anni. Credo insomma che sia necessario che questa pagina della storia italiana venga effettivamente indagata con tutta la trasparenza possibile.
GIOVANNI MELONI. Mi pare di capire, anche da questa ulteriore precisazione, che allo stato degli atti, oltre al tentativo di raccogliere questa documentazione richiedendola ai soggetti di cui lei poco fa parlava, sarebbe opportuno acquisire la testimonianza di politici che sono stati protagonisti di quegli anni o comunque che conoscono perfettamente cosa sia accaduto.
PAOLO PEZZINO, Direttore del Dipartimento di storia moderna e contemporanea dell'università degli studi di Pisa. Penso si possa acquisire la testimonianza dei ministri della difesa, degli esteri e dei
Presidenti del Consiglio di quel periodo.
GIOVANNI MELONI. Taviani!
PAOLO PEZZINO, Direttore del Dipartimento di storia moderna e contemporanea dell'università degli studi di Pisa. Anche il senatore Andreotti: proprio per prepararmi a questa audizione ho redatto nei giorni scorsi un elenco dei Governi italiani dal 1947 in poi.
MAURA COSSUTTA. Cossiga lo lasciamo da una parte?
PAOLO PEZZINO, Direttore del Dipartimento di storia moderna e contemporanea dell'università degli studi di Pisa. Direi che in questa fase Cossiga era ancora troppo giovane.
PRESIDENTE. E' certo che la decisione del 1945 di accentrare presso la procura militare i fascicoli, ancorché fosse funzionale alla celebrazione dei processi o comunque alla ricognizione compiuta dei fatti che avrebbero potuto essere oggetto di quei processi, si dimostrò estremamente funzionale anche alla decisione opposta. In ragione semplicemente del vincolo gerarchico, un solo soggetto - piuttosto che i titolari delle diverse procure militari distrettuali - avrebbe potuto essere il destinatario dei fascicoli. Peraltro, si trattava di un soggetto di nomina politica.
PAOLO PEZZINO, Direttore del Dipartimento di storia moderna e contemporanea dell'università degli studi di Pisa. Sì, perché era stato nominato nel 1944, credo dal Governo Bonomi. In un caso specifico che coinvolgeva italiani che avevano militato in un reparto di polizia tedesca e che avevano compiuto un eccidio di minatori a Niccioleta, nel grossetano, il processo si svolse presso la Corte d'assise di Pisa nel 1948. In questa circostanza si assiste a un rimpallo tra procura militare di La Spezia e corte d'assise di Pisa perché nessuno voleva celebrare il processo. Si tratta di procedimenti che in effetti la magistratura militare dell'epoca si mostra molto restia a compiere; probabilmente erano giudici che non possedevano la cultura giuridica necessaria. La motivazione di fondo era che i soldati, quando vestono la divisa, sono irresponsabili e quindi non ha senso processarli perché in caso contrario si metterebbe in pericolo la stabilità istituzionale che ciascuno Stato, al di là dei propri orientamenti politico-ideologici, deve possedere. Di solito i tribunali si litigano i processi; invece questo processo non lo voleva nessuno: fa avanti e indietro quattro volte, finché le Sezioni unite della Cassazione attribuiscono la competenza alla corte d'assise di Pisa. Quindi, se da un lato è vero che c'è un accentramento presso la procura generale, dall'altro bisognerebbe verificare se anche le varie procure militari territoriali fossero così desiderose di celebrare processi nei confronti di persone che avevano vestito una divisa.
PRESIDENTE. Bisognerebbe però capire perché, ad esempio, il processo del 1951 viene celebrato.
PAOLO PEZZINO, Direttore del Dipartimento di storia moderna e contemporanea dell'università degli studi di Pisa. Marzabotto aveva rappresentato un evento davvero enorme. Faccio però presente che Reder viene assolto per la strage di Sant'Anna di Stazzema; in realtà il fascicolo che alla fine del 1946 gli americani trasmettono al Governo italiano reca la precisa indicazione del reparto che ha compiuto quella strage. Si trattava sempre di un reparto della XVI divisione delle SS, ma Reder non c'era. Sarebbe stato quindi possibile nel 1951, quando Reder è stato assolto, cercare il responsabile materiale. Si trattava di un capitano, e gli italiani avevano sicuramente il fascicolo, perché è uno di quelli che ho trovato recante la stampigliatura del dicembre del 1946 "trasmesso al Governo italiano". Il risultato è che per una strage come quella di Sant'Anna di Stazzema, con circa 600 morti, non c'è un colpevole: nel 1951, a seguito dell'assoluzione di Reder, sarebbe stato possibile continuare le indagini: qualcuno aveva quel fascicolo, che però non viene presentato al tribunale militare di Bologna. Evidentemente la procura militare di Bologna non l'aveva ricevuto: quanto meno, quindi, siamo di fronte alla mancata trasmissione di documentazione.
PRESIDENTE. Poiché non c'è nulla di più simbolico del processo penale, questo simbolismo è stato usato in modo magistrale!
RAFFAELE MAROTTA. L'onorevole Meloni ha detto che in quella riunione presso la Presidenza del Consiglio dell'agosto 1945 sarebbe stata adottata la decisione di accentrare tutti i fascicoli presso la procura generale e poi di inviarli alle procure territoriali. Ma che senso può avere avuto la decisione assunta ad altissimo livello di conservare i fascicoli dei processi presso la procura generale militare, che non aveva nessuna competenza? Se si volevano processare le persone implicate, i fascicoli dovevano essere inviati alle procure territoriali. Che cosa fu detto sulla destinazione di quei fascicoli? Che se ne doveva fare di quei processi? Lo chiedo allo storico, perché è semplicistico dire che fu deciso di accantonare quei fascicoli. Non si era ancora nel 1947, quando si manifestò la volontà di non perseguire più nessuno, quanto meno sul piano internazionale. In quel momento invece si volevano svolgere i processi, tanto è vero che De Gasperi manifestò l'intenzione italiana di sottoporre a processo anche i capi militari. In quale rapporto si pone con questo orientamento la decisione dell'agosto 1945?
GIOVANNI MELONI. Il senso è evidente!
RAFFAELE MAROTTA. Lo dice lei, collega Meloni: dovevano procedere le procure territoriali, non la procura generale. Quella decisione non ha alcun senso, oppure, se ce l'ha, non è quello che le attribuisce lei, onorevole Meloni. Rivolgo allora questa domanda allo storico, perché io non riesco a capire il senso di quella decisione.
MICHELE SAPONARA. Chiedo allo storico: chi erano i governanti del febbraio-agosto 1945?
PAOLO PEZZINO, Direttore del Dipartimento di storia moderna e contemporanea dell'università degli studi di Pisa. Per quanto riguarda la domanda dell'onorevole Marotta, voglio precisare che la riunione governativa in cui si decise di concentrare tutti i fascicoli presso la procura generale è un evento che ho appreso dalla relazione del Consiglio della magistratura militare, perché nelle mie carte non ho trovato traccia di tale riunione. Non posso quindi fare alcuna ipotesi.
RAFFAELE MAROTTA. Le chiedevo di immaginare che la riunione vi fosse stata e quale potesse esserne il senso.
PAOLO PEZZINO, Direttore del Dipartimento di storia moderna e contemporanea dell'università degli studi di Pisa. Direi che una riunione di questo genere, nel 1945, aveva il presupposto di accentrare in una struttura unica i fascicoli, proprio in funzione di quel collegamento organico con gli alleati, per dar vita a un grande processo generale per crimini di guerra. Dirò di più: nel 1946-1947 gli alleati chiedono ed ottengono di mandare presso la procura generale militare un loro ufficiale di collegamento; allo stesso tempo, c'è un ufficiale di collegamento italiano (il capitano dei carabinieri Vitale, e per questo sarebbe interessante accedere agli archivi dei carabinieri) presso la procura generale militare alleata. Quindi, ancora nel periodo 1945-1947 l'accentramento è chiaramente funzionale alla celebrazione di un grande processo. Quello che succede dopo può essere oggetto di ipotesi, ma senza documentazione non è possibile comprendere neanche con quali argomentazioni giuridiche si sia arrivati all'archiviazione. Quanto alla domanda dell'onorevole Saponara, nel febbraio 1945 è in carica il secondo Governo Bonomi, insediatosi il 12 dicembre 1944: agli esteri c'era De Gasperi, alla giustizia Tupini, al Ministero della guerra Casati. Nel giugno 1945 è in carica il Governo Parri: agli esteri c'è De Gasperi, al Ministero della guerra Stefano Jacini, alla giustizia Togliatti. Nel dicembre 1945 De Gasperi è Presidente del Consiglio e ministro degli esteri ad interim, Togliatti è ministro della giustizia, Brosio ministro della guerra.
PRESIDENTE. Ringrazio il professor Pezzino per il suo utilissimo contributo. Speriamo di riuscire ad effettuare, la prossima settimana, l'audizione del senatore Taviani, se le sue condizioni di salute glielo permetteranno. Mi pare comunque che si affacci orinai prepotentemente l'esito naturale di questa indagine conoscitiva, che potrebbe raccogliere l'invito formulato dal professor Pezzino affinché si raccomandi al Governo di rendere consultabili, depositandoli, tutti i documenti ancora contenuti negli archivi diversi da quello centrale dello Stato (che, come abbiamo saputo, presenta vistose lacune relativamente a fascicoli che, pur risultando dal repertorio generale, non si trovano materialmente), in modo da consentire una rilettura più compiuta di questo periodo della storia italiana da parte degli storici.
PAOLO PEZZINO, Direttore de/Dipartimento di storia moderna e contemporanea dell'università degli studi di Pisa. Ricordo che vi sono precedenti di commissioni di storici nominate dal Parlamento: per la vicenda degli alpini in Russia ne fu istituita una che vedeva la presenza di Renzo De Felice, Nuto Revelli e Giorgio Rochat.
GIOVANNI MELONI. Mi chiedo se la prossima settimana sarebbe possibile audire brevemente anche il dottor Orazio Romano, che era un magistrato addetto alla procura militare, insieme con Santacroce, quando quest'ultimo decise la cosiddetta "archiviazione provvisoria". Forse potrebbe fornirci lumi sull'eziologia di quella decisione.
PRESIDENTE. Ci attiveremo senz'altro in tal senso, onorevole Meloni. Ringrazio di nuovo il professor Pezzino e dichiaro chiusa l'audizione.
La seduta termina alle 11.30.
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II Commissione - Seduta di martedi' 20 febbraio 2001
INDAGINE CONOSCITIVA
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