II Commissione - Seduta di giovedi' 8 febbraio 2001



INDAGINE CONOSCITIVA

La seduta comincia alle 14.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Se non vi sono obiezioni, rimane stabilito che la pubblicità dei lavori sia assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso. (Così rimane stabilito).

Audizione del Vicepresidente del Consiglio della magistratura militare, del procuratore militare
della Repubblica presso il tribunale militare di Roma e del procuratore militare della Repubblica
presso il tribunale militare di Verona.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul rinvenimento di fascicoli relativi a crimini nazi-fascisti, l'audizione del Vicepresidente del Consiglio della magistratura militare, professoressa Paola Severino, del procuratore militare della Repubblica presso il tribunale militare di Roma, dottor Antonino Intelisano, e del procuratore militare della Repubblica presso il tribunale militare di Verona, avvocato Giuseppe Rosin. Ricordo ai colleghi che è già stata disposta la proroga fino al 15 febbraio prossimo del termine per la conclusione di questa indagine conoscitiva, che non è ulteriormente prorogabile; nel frattempo la Commissione ha deliberato un'integrazione del programma delle audizioni prevedendo anche quella relativa ad un gruppo di storici dell'università di Pisa, i quali conducono una ricerca finanziata dal Ministero dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica che verte proprio su quegli anni e su quei crimini. Ringraziando i nostri ospiti per la loro cortesia e per la loro collaborazione, do senz'altro la parola alla professoressa Severino.

PAOLA SEVERINO, Vicepresidente del Consiglio della magistratura militare. Come certamente la Commissione sa, nel marzo 1999 il Consiglio della magistratura militare ha concluso con una relazione approvata dal plenum del Consiglio stesso un'indagine conoscitiva sui crimini di guerra; in realtà, si trattava di un'indagine che mirava ad accertare per quali motivi un numero consistente di fascicoli (originariamente più di 2 mila) relativi a stragi naziste o comunque avvenute nel periodo della guerra e dell'immediato dopoguerra fossero stati concentrati presso un armadio nascosto, con le ante chiuse rivolte verso il muro, di Palazzo Cesi, sede di alcuni organi della magistratura militare e, all'epoca, del tribunale supremo militare. Si trattava anche di capire perché tali fascicoli fossero rimasti per anni in quella collocazione, non fossero stati distribuiti alle procure militari competenti per territorio e ciò avesse comportato ben cinquant'anni di ritardo nell'avvio di indagini, alcune delle quali si sono aperte e chiuse per morte dei possibili rei e per l'impossibilità di ricostruire i fatti. Come più analiticamente penso illustrerà il procuratore Intelisano, la nostra indagine nasce da una circostanza del tutto fortuita. Nel corso del processo Priebke, il dottor Intelisano chiese alcuni dati conoscitivi - in particolare alcuni documenti - alla procura generale. In occasione della ricerca di tali documenti venne scoperto il famoso "armadio della
vergogna", nel quale erano originariamente custoditi 2.274 fascicoli relativi a stragi avvenute durante la seconda guerra mondiale. Si trattava, ripeto, in grandissima parte di stragi o di omicidi che avevano visto come protagonisti militari tedeschi ed italiani.

LUIGI SARACENI. Mi scusi professoressa: potrebbe precisare la data della scoperta?

PAOLA SEVERINO, Vicepresidente del Consiglio della magistratura militare. Giugno 1994. Preciso anche che immediatamente dopo la scoperta questi fascicoli vennero tirati fuori dall'armadio e distribuiti alle procure competenti. L'indagine si preoccupò di verificare per quale motivo questi fascicoli fossero stati raccolti presso quella sede e non si fosse mai dato seguito alle indagini. Poiché la Commissione ha a disposizione il testo della relazione conclusiva del Consiglio della magistratura militare, credo di poter sintetizzare i risultati acquisiti dall'indagine stessa. Fu inizialmente istituita una commissione di indagine e poi la pratica venne a delibera a seguito dell'attività della commissione affari generali. Il quesito di cui era investito il Consiglio era di verificare se vi fossero responsabilità di magistrati militari ancora in vita nell'occultamento di queste pratiche. Come certamente sapete, il Consiglio della magistratura militare è organo di autogoverno di quest'ultima e quindi il nostro compito si incentrò esclusivamente nell'individuazione di eventuali responsabilità di magistrati militari. Peraltro, nonostante il nostro obiettivo fosse questo, in occasione delle indagini emersero una serie di fatti estremamente importanti per la ricostruzione storico-politica della vicenda. I fatti importanti, molto sinteticamente, sono i seguenti. Come avvenne la concentrazione di questi fascicoli presso l'allora tribunale supremo militare? Come si riuscì a non dar seguito ai fascicoli stessi, non trasmettendoli alle procure militari competenti? Come e quando essi vennero occultati nel famoso armadio? Nella ricerca delle cadenze temporali di questi fatti ci siamo imbattuti in tre date molto importanti. La prima è molto remota: il 1945. All'epoca, procuratore generale militare presso il tribunale supremo militare (organismo soppresso con la legge del 1981: si trattava di un organismo giudiziario che però era alle dipendenze della Presidenza del Consiglio dei ministri) era il dottor Borsari. Egli partecipò, il 20 agosto 1945, ad una riunione presso la Presidenza del Consiglio dei ministri nel corso della quale si decise di radunare tutti i fascicoli, le istruttorie, le notizie che pervenissero in relazione a crimini commessi durante la guerra presso la procura generale del tribunale supremo militare. Questo iniziale intento appariva dettato da uno scopo apparentemente condivisibile, cioè quello di concentrare tutto presso un unico organismo, di non disperdere i fascicoli e di consentirne la successiva distribuzione alle procure militare competenti. Se non che, questo scopo non venne realizzato: i fascicoli vennero tutti centralizzati presso Palazzo Cesi e lì rimasero; per di più, nel corso degli anni si verificarono due circostanze importanti. Si provvide ad una vera e propria archiviazione dei casi che erano pervenuti all'attenzione del procuratore generale presso il tribunale supremo militare, archiviazione - lo sottolineiamo nella nostra delibera - assolutamente illegale perché egli non era organo titolare dell'esercizio dell'azione penale ed anche perché con la dizione "trattasi di fascicoli relativi a persone non note o di cui è difficile la scoperta" vennero in realtà archiviati anche una serie di casi in cui invece erano presenti testimonianze, nomi di possibili autori di reati, nonché tutto un materiale documentale e testimoniale che, se fosse stato tempestivamente esaminato, avrebbe certamente portato all'apertura ed alla conclusione di processi penali per crimini di guerra. Questa archiviazione avviene negli anni sessanta. Ma prima di tale periodo c'è un'altra data importante, il 1956. A quell'anno risale un carteggio tra il Ministero degli esteri e quello della difesa, parte del quale era originariamente coperto da segreto; la commissione ha chiesto ed ottenuto la desecretazione degli atti. L'occasione di tale carteggio fu una richiesta di estradizione dalla Repubblica federale di Germania che era stata indirizzata al Ministero degli esteri; quest'ultimo, con nota del 10 ottobre 1956 diretta al ministro della difesa e riguardante proprio l'estradizione ipotizzata dal procuratore militare, nell'esporre i vari argomenti contrari all'iniziativa si soffermava su queste circostanze, e cioè sugli "interrogativi che potrebbe far sorgere da parte del Governo di Bonn una nostra iniziativa che venisse ad alimentare la polemica sul comportamento del soldato tedesco. Proprio in questo momento, infatti, tale Governo si vede costretto a compiere presso la propria opinione pubblica il massimo sforzo allo scopo di vincere la resistenza che incontra oggi in Germania la ricostruzione di quelle forze armate, di cui la NATO reclama con impazienza l'allestimento". La nota di risposta del ministro della difesa in data 29 ottobre 1956 era pienamente adesiva. Abbiamo ritenuto che il 1956 fosse una data importante perché è indicativa di un segnale politico che si aggiunge all'iniziativa originaria di concentrare tutto il materiale presso Palazzo Cesi. Ci chiedevamo cioè come mai a questa iniziativa, che avrebbe dovuto preludere ad una distribuzione alle procure dei fascicoli, non fosse seguito lo smistamento degli stessi, visto che in molti casi si trattava di fascicoli che riguardavano persone note e per le quali erano state raccolte numerose testimonianze. Questo ci ha fatto supporre che la mancata trasmissione fosse collegata ad un'indicazione di carattere politico ricevuta dal procuratore generale militare presso il tribunale supremo militare: in un momento in cui si era in piena guerra fredda - voi lo potrete analizzare da un punto di vista politico molto meglio di quanto non abbiamo fatto noi - e si stava costituendo l'Alleanza atlantica, si ritenne politicamente inopportuno aprire processi per crimini di guerra che avrebbero messo in crisi l'immagine della Germania e soprattutto la ricostituzione di una forza armata in quel paese. Fatto sta che, o in seguito al recepimento di questo indirizzo politico o per altri motivi che non siamo riusciti ad indagare perché la nostra indagine era prevalentemente documentale, questi fascicoli continuarono a restare presso la procura generale militare presso il tribunale supremo militare. Negli anni sessanta intervenne una vera e propria archiviazione di tali fascicoli, che si accompagnò ad una accurata selezione. In realtà alcuni di questi fascicoli vennero trasmessi, ma si trattava solo di quelli nei confronti dei non noti o di fascicoli relativamente ai quali le prove raccolte avevano uno spessore molto poco rilevante e che comunque non potevano dar luogo all'istruttoria di processi destinati a conclusione. Vi fu quindi la concentrazione, l'archiviazione finale e la selezione dei fascicoli trasmessi. Vi è un'altra data di rilievo, il 1965. In quell'anno scadevano i termini di prescrizione per quella tipologia di crimini. Vari Governi, tra cui anche quello tedesco, formularono un richiamo affinché tutto ciò che , non essendo ancora caduto in prescrizione, potesse essere portato all'attenzione delle magistrature venisse raccolto. Questa richiesta di raccogliere notizie, informazioni, dati su possibili procedimenti per crimini di guerra ricevette risposta da parte del procuratore generale in una nota diretta al ministro della difesa del 16 febbraio 1965 in cui si affermava che "l'autorità giudiziaria italiana conserva il pieno esercizio della propria giurisdizione" per questi reati e che "la legge italiana è più rigorosa in materia di prescrizione dei reati in questione". Quanto alla richiesta della documentazione, si comunicava che dal riesame del materiale dell'archivio emergevano "casi - peraltro non numerosi - di crimini tuttora impuniti, per i quali vi è una sufficiente documentazione".
Questi casi si rivelarono essere venti, accuratamente selezionati e che nel frattempo erano stati distribuiti alle procure; erano casi destinati a non avere alcuno sbocco, perché erano quelli meno significativi. Ai fini della nostra indagine, naturalmente, ciò era sufficiente per dire che vi erano state attività illegali dagli allora procuratori generali, ma purtroppo si dovette fermare a quel punto perché i tre procuratori generali che si erano succeduti dal 1945 al 1974 (anno a partire dal quale sparisce ogni traccia fisica di questi fascicoli, per cui i successivi procuratori non avevano nemmeno l'evidenza della loro esistenza) erano tutti morti, e quindi nei loro confronti il Consiglio non poteva esercitare alcuna attività disciplinare. Tuttavia è importante ricordare che cosa hanno fatto il Consiglio e la magistratura militare nel seguito di quest'indagine. Sono stati trasmessi tutti i fascicoli rintracciati: si trattava di ben 695 fascicoli originariamente rubricati come noti, per i quali quindi una persecuzione di fatti sarebbe stata certamente possibile all'epoca perché erano ricchi di testimonianze e di documentazione. Questi fascicoli sono stati trasmessi alle procure competenti. In esito a tale trasmissione, tra il 1994 e il 1996, nell'immediatezza della scoperta dell'armadio, si sono ottenuti determinati risultati. Mi preme ricordare che negli ultimi anni (lo ricorda anche la relazione del procuratore generale della corte di appello militare di quest'anno) vi sono state tre condanne all'ergastolo per tre stragi di grande rilievo. Mi stupisce la circostanza che di queste tre condanne l'opinione pubblica italiana abbia saputo poco o niente; rispetto alla giusta attenzione dedicata al processo Priebke, per questi tre processi che faticosamente sono stati istruiti e portati a dibattimento dalla magistratura militare (non appartengo a quest'ultima ma mi piace essere obiettiva e dire che essa non solo è riuscita a compiere un'autocritica di ciò che di negativo era accaduto nel passato ma anche a fare in parte emenda di ciò che era successo, anche tenendo conto che il suo compito non era certamente facile nell'istruire questi processi) ...

LUIGI SARACENI. Di che anno sono queste condanne?

PAOLA SEVERINO, Vicepresidente del Consiglio della magistratura militare. Sono di quest'anno: due del tribunale di Torino e una del tribunale di Verona. Si è trattato di tre ergastoli e tutti e tre i condannati sono contumaci; due sono tuttora in Germania ed un terzo è in Canada. E' stata chiesta ma non ancora ottenuta l'estradizione. Un altro processo è ancora in fase istruttoria e si tratta forse di quello più rilevante, relativo alla strage di Stazzema, che, come sapete, ha coinvolto più di 500 civili, più di 100 dei quali bambini. Naturalmente il tempo trascorso rende molto difficili gli accertamenti, ma la magistratura militare ha svolto compiutamente il suo compito dopo il ritrovamento dei fascicoli. Se posso permettermi, vorrei invitare a segnalare agli italiani che ancora vogliono ricordare qualcosa che questi processi hanno avuto degli esiti e si sono conclusi con quelle condanne.

PRESIDENTE. La ringrazio, professoressa Severino. Do ora la parola al dottor Intelisano.

ANTONINO INTELISANO, Procuratore militare della Repubblica presso il tribunale militare di Roma. Alla completa relazione che abbiamo poco fa ascoltato vorrei semplicemente aggiungere qualche dettaglio relativamente alla prima fase dello svolgimento dei fatti poc'anzi rievocati, vale a dire spiegare come si arrivò alla scoperta casuale dell'armadio dove erano custoditi i fascicoli. Ho con me la documentazione in copia dell'ufficio. Il 30 giugno 1994, nell'ambito delle indagini preliminari nei confronti di Priebke e di Hass, chiedevo ai procuratori generali militari presso la Corte suprema di cassazione e presso la Corte militare di appello di essere autorizzato a consultare l'archivio sui crimini di guerra che sapevo esistere in Palazzo Cesi, anche se, dopo la riforma del 1981, non sapevo a chi dovesse ascriversi la competenza per la consultazione di questo archivio. Chiedevo quindi ad entrambi i procuratori ad essere autorizzato; in particolare, la richiesta era finalizzata all'esigenza di prendere visione del carteggio già esistente negli archivi della procura generale militare presso il tribunale supremo militare relativo a crimini di guerra commessi durante il secondo conflitto mondiale. Che a Palazzo Cesi esistesse un carteggio relativo ai crimini di guerra era noto, così come era noto che esisteva un carteggio relativo ai tribunali militari di guerra soppressi e che negli archivi di Palazzo Cesi esistevano gli atti del tribunale speciale per la difesa dello Stato, anche se questo non aveva nulla a che fare con la magistratura militare; tuttavia quegli atti erano stati depositati in quel luogo. Avevo l'esigenza di consultare quell'archivio perché mancavano documenti importanti e comunque pensavo vi fossero atti utili; nel, corso delle indagini erano emerse alcune singolarità: ad esempio, il fatto che Priebke era tornato - almeno così egli assumeva - in Italia più volte, oppure (come si scoprirà di lì a poco) che Hass aveva in pratica tenuto sempre la sua residenza non solo in Italia, ma addirittura ai Castelli romani. Tali singolarità facevano intravedere l'opportunità di estendere gli accertamenti in più completa. Da questa richiesta emerse una sorta di serendipità giudiziaria: nessuno poteva immaginare che esistessero tanti fascicoli per casi mai risolti o per i quali non erano state addirittura neanche avviate le indagini. Questa è la parte di mia competenza. Collateralmente devo dire che, poiché il clamore anche sul piano internazionale del processo Priebke fu notevole, ricevevo la visita in quel periodo di storici, ricercatori, studenti. Qualcuno, in quelle occasioni, mi fece presente che presso l'Archivio centrale dello Stato esisteva una documentazione di qualche interesse; mi fu addirittura esibita una fotocopia di un carteggio. Inoltre, ebbi modo di accertare che presso tale Archivio esisteva il fondo crimini di guerra di provenienza della Presidenza del Consiglio dei ministri in cui era raccolta un po' di corrispondenza di contenuto affine a quello che poi è emerso nell'ambito dell'indagine svolta dal Consiglio della magistratura militare. Dopo il ritrovamento dei fascicoli, alla mia procura ne sono stati inviati 129. La gran parte di essi ha avuto un esisto giudiziario che giudicherei inevitabile, vale a dire la prescrizione per i casi meno gravi oppure l'archiviazione per essere rimasti ignoti gli autori dei fatti. Sono ancora pendenti, perché aspettiamo risposte dalla Germania, solo tre casi: la strage di Capistrello ed altri due. Tuttavia, non è difficile prevedere che anche per quanto riguarda questi gravi episodi l'epilogo giudiziario sarà l'archiviazione. Questa è la parte della vicenda di cui ho avuto la percezione diretta; tutto il resto è la ricostruzione che ho appreso a posteriori fatta dal Consiglio della magistratura militare quale emerge dalla relazione del dottor Rosin.


PRESIDENTE. La ringrazio, procuratore Intelisano. Do la parola al dottor Rosin.

GIUSEPPE ROSIN, Procuratore militare della Repubblica presso il tribunale militare di Verona. Il mio ruolo in questa vicenda deriva dal fatto che sono anche membro elettivo del Consiglio della magistratura militare dal 1997 e che mi è stato affidato l'incarico di relatore su questa pratica. Conosco gli atti in modo molto particolareggiato: le nostri fonti sono costituite da numerosissime audizioni di magistrati, anche a riposo, e di funzionari, nonché dal carteggio della procura generale militare presso il tribunale supremo militare, che poi è passato alla procura generale militare presso la Corte di cassazione nel 1981, e dalla documentazione esistente presso il Ministero della difesa sotto l'intitolazione "Repressione crimini di guerra". Questa documentazione è stata allo scopo declassificata: abbiamo impiegato un po' di tempo ad averla tutta, ma l'abbiamo ottenuta. Potrei iniziare con qualche numero, di cui peraltro si è già parlato. Nel 1994 è stato trovato questo archivio abusivo, costituito da dossier di indagini fatte da commissioni anglo-americane o da organi di polizia italiani sui crimini di guerra. Insieme con l'archivio è stato rinvenuto un registro generale. Si è innanzitutto provveduto a dissolvere l'archivio, perché esso non doveva trovarsi in quel luogo, che cinquant'anni prima doveva essere stato distribuito alle procure militari. Come vi ha già detto la professoressa Severino, i fascicoli sono risultati essere circa 700 (per la precisione 695) e sono stati distribuiti secondo il criterio della competenza territoriale: 2 a Palermo, 4 a Bari, 3 a Napoli, 129 a Roma, 214 a La Spezia, 108 a Verona, 119 a Torino e 87 a Padova; questo è avvenuto negli anni 1994-1995. Di questi fascicoli, 280 risultavano rubricati contro ignoti e 415 con indicazioni magari anche sommarie che comunque potevano permettere l'identificazione dei militari. Il registro generale rinvenuto nell'occasione in quell'armadio, naturalmente organizzato con il numero progressivo, comprende 2274 fascicoli; è un documento molto prezioso. Di tali fascicoli 260 sono stati inviati a tempo debito (nel 1945, nel 1946 e a volte nel corso della guerra) all'autorità giudiziaria ordinaria in quanto si
ravvisavano reati comuni; 20 sono stati inviati nei tempi di legge alle competenti procure militari per le indagini; circa 1300 fascicoli - come vi anticipava la professoressa Severino - sono stati inviati negli anni 1965-1968 alle procure militari competenti, effettuando però un'opera di selezione. Tutti questi fascicoli, nessuno escluso, sono rubricati contro ignoti e non contengono utili indicazioni per poter proseguire le indagini; sono stati quindi inviati fascicoli "inoffensivi", per così dire. Rimangono i famosi 700 fascicoli scoperti nel 1994 ed inviati alle procure, che hanno dato luogo a quel lavoro giudiziario di cui la professoressa Severino e il collega Intelisano vi hanno parlato. Restando a disposizione per eventuali domande, vorrei mettere in rilievo in che senso l'archiviazione di questi 700 fascicoli - la cui data era la stessa, il 14 gennaio 1960 - era illegale. Come vi ha anticipato la professoressa Severino, l'illegalità non era semplicemente collegata al fatto che si trattava di una decisione opinabile, non condivisibile o non fondata assunta da un organo giudiziario, ma perché essa viene presa da un organo - la procura generale militare presso il tribunale supremo militare - che non aveva alcuna competenza al riguardo. Tale procura era, nel suo piccolo e mutatis mutandis, un organo analogo alla procura generale militare presso la Corte di cassazione, vale a dire un organo che non ha alcuna competenza e responsabilità di indagine e di esercizio dell'azione penale. Questa vicenda dell'archiviazione non rappresenta quindi che un aspetto della generale opera di insabbiamento durata cinquant'anni; essa non ha neanche il pregio di avere la veste di provvedimento giudiziario: è un atto radicalmente illegale!

RAFFAELE MAROTTA. Abnorme!

GIUSEPPE ROSIN, Procuratore militare della Repubblica presso il tribunale militare di Verona. Un provvedimento abnorme è ancora di carattere giudiziario; in realtà si è trattato di un atto amministrativo: tanto per non averli sul tavolo, si mettono i fascicoli in un armadio.

LUIGI SARACENI. Un'archiviazione di fatto!

GIUSEPPE ROSIN, Procuratore militare della Repubblica presso il tribunale militare di Verona. Un'archiviazione di fatto, certo, compiuta dalla procura generale militare e quindi al di fuori di una logica processuale e senza alcun controllo da parte di altri organi giudiziari militari. La stessa nascita dell'archivio è contraria alla legge o quanto meno si pone ai margini della stessa; erano anche tempi particolari. La famosa riunione del 20 agosto 1945 (abbiamo anche il verbale) si svolse presso la Presidenza del Consiglio dei ministri alla presenza di altissimi funzionari dei vari ministeri interessati e del procuratore generale militare, che all'epoca era il dottor Umberto Borsari. Quella riunione si tenne anche perché il Dipartimento di Stato americano aveva deciso di ammettere l'Italia alla facoltà di denunciare all'ONU i crimini di guerra commessi dai tedeschi. Esisteva già una raccolta di dossier, anche se non riguardava tutti i 2274 fascicoli: il Ministero dell'Italia occupata procedeva, man mano che il territorio veniva liberato, ad inchieste tramite i normali organi di polizia e soprattutto tramite commissioni miste nominate a livello di prefetture. Il ministero era poi stato abolito ma i documenti erano stati raccolti. Quella riunione subiva anche di riflesso il problema dell'esistenza di una giurisdizione internazionale su questi reati. Emerge il concetto di "reati localizzabili" e "non localizzabili": i primi sarebbero stati attribuiti dagli alleati - sulla base di quanto dice il funzionario che intervenne sul punto - alle giurisdizioni nazionali, mentre i secondi sarebbero stati trattati dai tribunali internazionali. Per questo insieme di ragioni fu assunta la decisione di concentrare tutto presso un organo che in fondo non ha nulla a che vedere con le indagini, cioè la procura generale militare. Si tratta di una competenza extralegale, attribuita a quest'ultima, il che oggi non sarebbe più possibile perché - quand'anche non fosse contrario alla legge - i pubblici uffici debbono tutti essere organizzati secondo la legge e le loro competenze devono essere fissate da quest'ultima. I motivi che spiegano ciò che è successo dopo emergono da quanto abbiamo rinvenuto e dalla nostra conoscenza della storia del dopoguerra; gli avvenimenti sono sicuramente opera dei soggetti preposti alla procura generale militare, ma non possono essere accaduti se non a seguito di direttive politiche, di cui non abbiamo trovato direttamente le prove. Possiamo pensare però che se originariamente fu una decisione ad altissimo livello - e che fu anche illegale poiché, non essendo stata mai modificata la norma, gli organi di polizia dovevano inviare i rapporti al procuratore competente e non a Roma - a dar vita alla costituzione dell'archivio, sembra impossibile che il magistrato si sia da solo assunto la responsabilità nei decenni successivi di non distribuire i fascicoli alle varie procure. Ricordo ancora che la data dell'archiviazione è il 14 gennaio 1960; ciò non ha impedito, nel 1964-1965, di distribuire alle procure circa 1300 processi tra quelli provvisoriamente archiviati. Sono i famosi processi "inoffensivi", quelli contro ignoti. In quel periodo l'interesse della procura generale e del nostro paese era centrato sul problema della prescrizione dei reati nella Repubblica federale tedesca. La data di prescrizione era l'8 maggio 1965. Nel 1994 il Governo della Repubblica federale tedesca ha deciso di chiedere a tutti i Governi alleati ed anche alle organizzazioni private di mandare tutte le carte per metterle a sua disposizione. Per l'Italia ci si rivolse alla procura generale militare. In quell'ambito è stata fatta quest'opera di selezione; c'è anche la vicenda dei famosi 20 fascicoli che invece contenevano prove consistenti, sempre a detta del carteggio, che invece la Germania richiese e che, dopo qualche tergiversazione, furono inviati all'autorità politica tedesca; non sappiamo se siano poi pervenuti all'autorità giudiziaria della Repubblica federale tedesca. Certamente si tratta di quei 20 fascicoli con tanto di nome e cognome tra quei 700 fascicoli che all'autorità giudiziaria militare italiana sono arrivati solo nel 1994. Potrei continuare ma preferisco restare a disposizione per eventuali domande.

PRESIDENTE. Vorrei rivolgervi una domanda assolutamente ovvia. In tutti questi anni i familiari delle vittime dei crimini in questione avranno certamente rivolto una grande quantità di petizioni e di richieste alle autorità giudiziarie militari e a quella politica per sapere che fine avessero fatto le indagini. C'è traccia di questi carteggi o comunque di una risposta "politica", di protocollo?

GIUSEPPE ROSIN, Procuratore militare della Repubblica presso il tribunale militare di Verona. Non c'è proprio traccia in nessun archivio, tranne casi particolari come quello della strage di Cefalonia, il più grave di tutti. Comunque, in generale non esiste traccia di lamentele di questo tipo; avendo guardato le carte e avendo riflettuto sulla vicenda ho riportato l'impressione, del tutto personale, che nell'immediato dopoguerra non vi fosse sufficiente chiarezza sul fatto che i tribunali italiani potevano processare i militari tedeschi per crimini di guerra. A parte i quattro o cinque processi di cui vi hanno parlato sia la professoressa Severino sia il dottor Intelisano, che nascono a seguito della dissoluzione dell'archivio e della distribuzione dei dossier nel 1994, nel 1965 (quindi a più di vent'anni dai fatti), le sentenze dibattimentali pronunciate dai tribunali militari per crimini di guerra erano appena tredici, per un totale di 25 imputati. Poi c'è stato il processo Priebke-Hass, dopo il quale si sono svolti processi nati dalla dissoluzione dell'archivio abusivo.

PRESIDENTE. Questo registro era appositamente compilato per ricostruire anche cronologicamente i fascicoli; non aveva niente a che fare con il registro "ufficiale" che esisteva presso l'ufficio?

GIUSEPPE ROSIN, Procuratore militare della Repubblica presso il tribunale militare di Verona. Non aveva nulla a che fare.

PRESIDENTE. Quindi non era neanche possibile ricostruire, sulla base del registro ufficiale, "vuoti" o altre anomalie che potessero far supporre l'esistenza di un altro archivio?

GIUSEPPE ROSIN, Procuratore militare della Repubblica presso il tribunale militare di Verona. Era un registro ad hoc, impostato come i vecchi registri generali delle procure, quelli cioè anteriori alla riforma del 1989. D'altra parte, però, nella procura generale militare presso il tribunale supremo militare, in quanto organo di legittimità, c'era un registro generale così come lo si intende a proposito delle procure che debbono svolgere indagini ed esercitare l'azione penale.

PRESIDENTE. La ringrazio, dottor Rosin. Do ora la parola ai colleghi che intendano porre domande e richieste di chiarimento.

VINCENZO SINISCALCHI. Leggendo quest'importante relazione ed ascoltando gli interventi dei nostri ospiti ho provato - lo dico senza retorica - un senso di orrore che, se non è pari a quello provato per i crimini, lo lambisce da vicino. Se oggi non avessimo conoscenza di queste cose, grazie ad una paziente ed eufemisticamente definita indagine conoscitiva svolta dalla magistratura militare sul rinvenimento dei fascicoli (è un'espressione piuttosto edulcorata e fuorviante rispetto alla materia: sembra quasi un adempimento burocratico) non avremmo scoperto le grandi responsabilità del nostro Stato e dei nostri Governi almeno fino al 1996, quando il Consiglio della magistratura militare ha adottato quest'importante iniziativa. Non so quali percorsi bizantini debba seguire il discorso sulla competenza che giustamente, da tecnico, svolgeva il procuratore Rosin. Capisco che ci sono epoche in cui non è stato chiaro il concetto del limite tra la competenza della magistratura ordinaria e di quella militare; credo che anche nella corretta opinione dei nostri autorevoli ospiti non si annidi altro se non la volontà di trovare qualche genere di spiegazione "umana", se non ordinamentale, per questa grande diserzione da quello che noi, in tanti altri casi, abbiamo chiamato il dovere dell'esercizio dell'azione penale. Quest'ultimo è un dovere al quale non può essere chiamato solo il defunto procuratore Santacroce, deceduto come buona parte dei responsabili di questo scempio, il quale però si è inventato un provvedimento di tipo giurisdizionale come l'archiviazione. Sarei curioso - lo dico con una pacatezza ma con fermezza - di sapere ciò che veniva detto di queste cose nei discorsi di inaugurazione degli anni giudiziari dei procuratori generali che si sono succeduti dal 1950 ad oggi. Chiederei alla pazienza dei nostri ospiti, se possibile, di integrare questa indagine conoscitiva per verificare se per caso questa serie di archiviazioni non sia stata portata in attivo come un adempimento che fa statistica perché rappresenta comunque un indice di lavoro: lo dico con tutto il rispetto, ma potete comprendere lo sdegno politico e civile contenuto in questo intervento che svolgo a nome del mio gruppo. Che cosa si è detto nei discorsi inaugurali degli anni giudiziari per giustificare questa archiviazione, di cui, se ho ben capito, si è saputo solo grazie ad un'iniziativa del 1996? Non pretendo certo di trovare in questi discorsi l'indicazione dell'esistenza dell'"armadio della vergogna", di questo "catalogo-non catalogo", dal quale dovremmo credere siano scomparsi (o nel quale non sono mai stati inseriti) reclami, istanze, petizioni popolari, o dei comuni - come ha sottolineato la presidente -, di associazioni dei parenti dei caduti. Forse saranno stati rivolti al Ministero della difesa, forse a quello di grazia e giustizia, ma a me pare un po' strano ritenere che tutto questo debba essere portato all'attivo del nostro patrimonio di conoscenza soltanto attraverso questa paziente e certamente encomiabile indagine. A me pare che sul problema delle vittime si ponga una prima questione: avvio un discorso che spero tutti i colleghi vorranno continuare in questa Commissione, nei limiti di tempo che ci sono concessi fino alla fine della legislatura, per tracciare una minima ipotesi di risarcimento non tanto materiale quanto morale. Dobbiamo trarre delle conclusioni, altrimenti avremmo svolto un'interessante ma alquanto deprimente analisi di una serie di illegalità e di abusi evidenziati nel rapporto che abbiamo letto tutti. Chiedo quindi che si cominci a lavorare su un processo di identificazione delle vittime, nome per nome; non possiamo parlare solo di new economy con la chiocciola e compiacerci. Queste cose ora non dovrebbero essere più possibili; non deve essere più possibile l'esistenza di un armadio polveroso e fastidioso nel quale sono stati raccolti solo i dati finali di un'inchiesta, che forse non era tale in senso stretto ma che sicuramente - a quanto si legge - conteneva degli atti. L'eufemismo dell'archiviazione è veramente avvilente: si dice che "letti gli atti" (che cosa si sia letto non è dato sapere) "relativi ai fatti di cui tratta il fascicolo..." (era una stampiglia) "dell'ufficio sopra indicato, poiché nonostante il lungo tempo trascorso dalla data del fatto anzidetto" (e si era solo al 1960) "non si sono avute notizie utili" (Si presuppone che tali notizie siano state richieste e non credo che ciò sia avvenuto: non so se vi sia traccia di tale richiesta) "per l'identificazione dei loro autori e per l'accertamento delle responsabilità; ordina la provvisoria archiviazione degli atti" (meno male che c'è un "provvisoria": la clandestinità l'abbiamo scoperta solo nel 2001). E' possibile (lo chiedo anche ai colleghi di questa Commissione, certamente colpiti dall'eccezionalità di queste conoscenze, una Commissione che si è tanto attivata per l'istituzione recente del tribunale internazionale per i crimini, che è stata chiamata ad esprimere pareri anche più complessi in questa materia ed ha condiviso l'adesione italiana nei confronti dei crimini contemporanei che riguardano per lo più paesi diversi dal nostro) procedere almeno, grazie agli organi dello Stato -
non dico certo attraverso il Consiglio della magistratura militare o soltanto con il medesimo e con la procura - ad una rapidissima identificazione della localizzazione delle vittime, dei comuni di appartenenza, delle famiglie degli eredi per adottare una legge che all'articolo 1 contempli la richiesta di scuse da parte dello Stato? Le responsabilità saranno anche dei singoli, ma è incredibile dover discutere di responsabilità estinte con la morte dell'ipotetico reo; non a caso ho fatto un riferimento ai discorsi inaugurali, che certamente saranno stati importanti e documentativi di particolari attività. Non so se troveremo traccia di queste archiviazioni nei discorsi inaugurali. Oltre alla previsione di questa richiesta di scuse dello Stato che non sia solo simbolica, occorre avviare un procedimento risarcitorio di qualsiasi tipo da parte dello Stato medesimo nei confronti dei familiari delle vittime, dei comuni, delle terre che non solo non hanno avuto giustizia ma sono stati anche traditi nella loro ansia di giustizia. Queste sono le due richieste, che per ora, a conclusione del mio intervento, intendo sottoporre a nome del mio gruppo a tutti i colleghi, riservandomi di svilupparle in iniziative legislative.

PRESIDENTE. Vorrei sottoporre ai colleghi l'opportunità di compiere una ricerca sugli atti ispettivi presentati in Parlamento nel primi anni del dopoguerra per verificare quante interrogazioni ed interpellanze furono formulate sul tema e quali furono le risposte dei Governi del tempo.

RAFFAELE MAROTTA. Signor presidente, manifesto a mia volta tutto l'orrore di cittadino, di parlamentare e soprattutto di ex magistrato della Repubblica. La mia domanda è ovvia, al punto che potrebbe essere considerata persino retorica. Ci fu una riunione ad altissimo livello il 20 agosto 1945 (vi parteciparono ministri, alti funzionari, il procuratore generale militare): si stabilì di concentrare i fascicoli in un deposito unico. Ma si dovette pure stabilire per farne che cosa: non si parlava ad un commesso. Chi fu incaricato di provvedere materialmente alla concentrazione dei fascicoli? Può darsi che in quel momento venne disposta l'archiviazione di fatto. lo magistrato avrei chiesto, a chi mi dava l'incarico di concentrare i fascicoli: per fame che cosa? E' stato detto che non è pensabile che un magistrato, senza copertura, potesse procedere in un certo modo; ma bisogna stabilire in concreto cosa si disse in quella riunione e chi fu incaricato di provvedere.

L'altra domanda è la seguente: chi fu incaricato di provvedere fu la medesima persona che procedette all'archiviazione abnorme? Sono due persone diverse? E chi provvide a smistare i processi cosiddetti inoffensivi perché contro ignoti oppure con prove evanescenti? Si tratta della stessa persona?

PRESIDENTE. Forse per rispondere a questa domanda occorrerebbe accertare se sia ancora in vita qualcuno dei partecipanti a quella riunione.

RAFFAELE MAROTTA. Le indagini devono mirare ad accertare i punti che ho evidenziato. L'archiviazione abnorme adottata nel gennaio del 1960 potrebbe essere stata di fatto disposta in quella riunione.

GIOVANNI MELONI. La prima richiesta che vorrei rivolgere è la seguente. Quando la collega Moroni ed io abbiamo avanzato la proposta di svolgere un'indagine conoscitiva su questa materia il nostro scopo era quello di far sì che la Commissione, il Parlamento e, tramite esso, il paese conoscessero una serie di episodi che sono stati in qualche modo occultati e se in essi fossero ravvisabili responsabilità di organi dello Stato. Secondo me, la prima cosa che va fatta per ottenere la conoscenza completa è sapere se si possa disporre dell'elenco esatto degli episodi che corrispondono a quei 695 fascicoli. Il primo dovere mi sembra sia quello di ricordare in tutta la sua completezza ciò di cui stiamo parlando. Se non sono male informato e non sbaglio i calcoli, stiamo parlando di oltre 15 mila vittime, tra le quali donne, bambini, civili, e non di pratiche condotte malamente. Mi pare che la prima cosa da fare sia quindi riportare alla memoria i luoghi, le cose, le persone e quindi conoscere non dico tutto il contenuto, ma almeno le indicazioni essenziali presenti in quei fascicoli. In secondo luogo, mi sembra che quanto i nostri cortesi interlocutori hanno detto e ciò che si evince dalla relazione del Consiglio della magistratura militare facciano emergere l'esistenza di un'attività politica che, particolarmente nel 1956, oltre che nella riunione ricordata del 1945, riguardava rapporti instaurati tra il Ministero degli esteri e quello della difesa. Tali dicasteri hanno una comune opinione secondo la quale, al fine di non turbare la ricostituzione dell'esercito tedesco, sarebbe stato opportuno mettere in qualche modo la sordina a questi episodi e soprattutto non avanzare richieste di estradizione. Mi sembra infatti che la nota del Ministero degli esteri nasce proprio in occasione di una richiesta di questo genere. Faccio notare che questo indirizzo politico si perpetua nel tempo, non solo per quanto accadde nel 1960 e su cui tornerò immediatamente, ma soprattutto perché nel 1965, alla scadenza dei termini di prescrizione di certi reati, si riprende tutto in mano e circa 1.300 fascicoli vengono "rispolverati" ed inviati alle procure, nell'assoluta certezza, però, che si trattasse di fascicoli assolutamente inoffensivi, inutiliter missi a chi di competenza. Pertanto, fra il 1965 e il 1968 esisteva un orientamento di natura politica che manteneva nei responsabili della procura militare il convincimento che occorresse continuare ad assumere lo stesso atteggiamento. C'è un'altra questione che secondo me va sottolineata e sulla quale rivolgo una domanda ai nostri interlocutori; al di là dell'orrore della vicenda in sé, rimango senza parole perché stiamo parlando pur sempre di operatori del diritto.

ENNIO PARRELLI. Necrofori del diritto!

GIOVANNI MELONI. Non so se siano stati necrofori: certo, hanno adattato il diritto a certe esigenze. L'archiviazione del gennaio 1960 non è solo un atto adottato da un organo non competente né un'iniziativa assolutamente discutibile perché non vi erano gli estremi per l'archiviazione (dal momento che i fascicoli contenevano indicazioni di nomi, fatti, circostanze e quant'altro): soprattutto non si tratta di un'archiviazione, ma di un semplice occultamento. Se non ricordo male, in ciascuna di quelle pratiche si parla di archiviazione provvisoria, un istituto che non trova riscontro nell'ordinamento. Santacroce, che compie questa operazione, si rende perfettamente conto delle situazione: perché annota un concetto assolutamente inesistente in diritto? Non certamente perché ignori che l'archiviazione provvisoria non esiste, ma perché dà corso politico - e non giuridico - all'orientamento di cui stiamo parlando, a proposito del quale vorrei sapere se si possa "scavare" ulteriormente. Credo che noi dobbiamo tentare, pur nel brevissimo tempo assegnato al lavoro della Commissione per questa indagine, di raccogliere tutto il materiale disponibile. Ricordo che già da molto tempo si è costituito un comitato che raccoglie i parenti delle vittime, i rappresentanti degli enti locali ed autorità, il quale tra l'altro - lo rendo noto alla Commissione - sarà ricevuto dal Presidente della Repubblica il prossimo 23 febbraio proprio su questo argomento, cosa che mi pare non trascurabile: tutte quelle persone vanno a chiedere giustizia. Penso che sarebbe opportuno sapere se questo comitato - che svolge un certo tipo di lavoro da parecchio tempo - abbia qualcosa da comunicare alla Commissione. Vorrei poi chiedere al presidente se, proprio allo scopo di cercare di mettere in luce tutte le responsabilità (da ascriversi a magistrati delle procure ma anche all'autorità politica), non sarebbe il caso di ascoltare uno dei protagonisti che emergono dalle carte che abbiamo a disposizione, persona sulla cui ispirazione democratica nessuno può dubitare, cioè il senatore Paolo Emilio Taviani. Egli potrebbe con ogni probabilità illustrarci, con dovizia di particolari, come andarono effettivamente le cose e quali furono le ragioni e i protagonisti di quella decisione politica.

PRESIDENTE. Vorrei chiarire che l'indagine conoscitiva, sulla base del regolamento, serve alle Commissioni - ed ovviamente a ciascun deputato - per acquisire informazioni in base alle quali valutare l'opportunità della presentazione di una proposta di legge. Questa Commissione, dal momento in cui ha deciso di procedere all'indagine conoscitiva, si è prefissa lo scopo di verificare se esistano le condizioni perché, con apposita proposta di legge, si istituisca una Commissione d'inchiesta. Ecco perché ritengo si debbano utilizzare questi pochi giorni che ci restano per acquisire ogni possibile elemento di informazione; mi pare comunque che si rappresenti in modo sempre più evidente l'assoluta opportunità dell'istituzione di una Commissione d'inchiesta. Se poi mi permettete di chiosare quanto è stato detto fin qui, mi pare che possa essere affermato un principio: quando i giudici sono autonomi ed indipendenti - e non devono andare a riferire o prendere ordini da nessun ministro o Presidente del Consiglio - le cose vanno decisamente meglio. La possibilità che simili fatti non si ripetano è certamente affidata alle qualità personali dei singoli soggetti (e oggi abbiamo presenti gli esempi della professoressa Severino, del dottor Intelisano e del dottor Rosin), ma anche alle condizioni di autonomia e di indipendenza delle magistrature assicurate dall'ordinamento.

ROSANNA MORONI. Presidente, ho voluto con forza questa indagine conoscitiva, insieme con i colleghi che hanno firmato la lettera in cui essa veniva richiesta, perché ho letto molte testimonianze dei fatti ed ho ascoltato anche direttamente i superstiti di Sant'Anna di Stazzema. Conosco bene quella vicenda: a Sant'Anna sono morte 560 persone, di cui circa 200 donne, 8 delle quali incinte, e 118 bambini, il più piccolo dei quali aveva 20 giorni. Credo che le istituzioni, il Parlamento italiano, abbiano il dovere di rimuovere questa vergognosa vicenda, in primo luogo per un debito morale di giustizia postuma, per un minimo, parzialissimo risarcimento alle vittime. Molte volte si trattava di persone inermi: nel caso di Sant'Anna di Stazzema, non si trattava (ammesso che questa possa essere una giustificazione) di partigiani né di esponenti di partiti. Erano donne e soprattutto vecchi e bambini che si erano rifugiati in quel luogo non solo da Lucca e dalla Versilia ma anche da altre zone, pensando così di sfuggire alle persecuzioni, alla guerra, alle minacce di vario genere. Credo inoltre che vi sia il dovere da parte nostra di diffondere, di pubblicizzare quello che è avvenuto nel nostro paese. Credo che la conoscenza serva anche a dare gli strumenti per riflettere sulla genesi di queste tragedie, di queste aberrazioni ideologiche; si tratterà sicuramente di strumenti culturali ed ideali utili e necessari anche per le prossime generazioni. Non mi dilungo sulle mie valutazioni personali. Tra l'altro ho già elaborato il testo di una proposta per l'istituzione della Commissione d'inchiesta, concordandolo con gli esponenti del comitato di cui parlava il collega Meloni. Esso vede raccolti i sindaci dei comuni luogo di eccidi, in primo luogo quello di Sant'Anna di Stazzema, l'Associazione dei martiri di Sant'Anna di Stazzema, la comunità ebraica di Milano, la Confederazione delle associazioni combattentistiche e partigiane, L'ANPIA, L'ANPI, l'ANED, la FIAP, l'Associazione nazionale vittime civili di guerra, la regione Toscana (spero di non dimenticare nessuno). Una delegazione di questo comitato ha anche incontrato il Presidente Violante. In quella sede tutti abbiamo concordato sul fatto che purtroppo i tempi residui della legislatura non ci consentono di fare più di tanto. L'attività svolta da una Commissione d'inchiesta è evidentemente molto più impegnativa di quella collegata ad un'indagine conoscitiva. Si è quindi scelto di avviare quest'ultima per acquisire almeno alcune notizie, alcuni primi elementi di conoscenza che consentissero poi di andare avanti, eventualmente nella prossima legislatura, istituendo una vera e propria Commissione d'inchiesta. Vorrei fare tantissime domande ma mi limiterò solo ad alcune. Ringrazio sentitamente i nostri interlocutori per il contributo che ci hanno dato: se siamo oggi qui, molto merito va a loro; chiedo loro di lasciarci tutta la documentazione possibile. Non sappiamo quasi nulla di tutto questo; personalmente sono venuta a conoscenza della vicenda solo il 29 settembre dello scorso anno in occasione di una riunione di quel comitato a Sant'Anna di Stazzema. So che, come ci diceva la professoressa Severino, sono stati comminati tre ergastoli, ma non so chi siano i condannati né quali siano gli eccidi cui si riferiscano le sentenze; non so perché non ci sia stata l'estradizione e se essa sia stata richiesta; non so quanti sono i procedimenti pendenti, a chi si riferiscano, quante siano le vittime coinvolte. Dispongo solo del totale delle vittime, 15 mila persone, ma non disponiamo, relativamente ai singoli episodi, di notizie particolari. Vorrei inoltre sapere chi fosse presente a quella riunione presso il Consiglio dei ministri. Ci avete detto che i procuratori generali sono deceduti; ma sono ancora vivi dei funzionari? Chi sono i funzionari che Rosin ha ascoltato e quali elementi hanno fornito? Quali sono i responsabili già identificati di questi eccidi? Voi avete i fascicoli, la documentazione, il registro: potete darceli? Credo che vi sia innanzitutto l'esigenza di pubblicizzazione di questi dati e di conoscenza della verità. C'è poi una domanda che mi preme forse più di tutte. Ho letto su l'Espresso (il giornalista Giustolisi si è occupato molto di questa vicenda e tra l'altro ha raccolto anche la disponibilità del senatore Taviani ad essere ascoltato dalla Commissione giustizia) notizia di un carteggio tra gli allora ministri degli esteri e della difesa Martino e Taviani che sembrerebbe relativo esclusivamente alla vicenda di Cefalonia. A seguito della richiesta del padre di uno dei ragazzi massacrati a Cefalonia, la corrispondenza intercorsa tra i ministeri contiene gli elementi che voi ci avete già sintetizzato. Ma la domanda è: visto che Taviani nell'ultima intervista rilasciata dice di sapere solo di Cefalonia, vi risulta - sulla base del carteggio che avete visionato - che abbiano parlato anche di altro, ed in particolare della necessità di occultare altre stragi e altri massacri, sempre in funzione della facilitazione nella ricostituzione dell'esercito tedesco e delle ragioni di Stato derivanti dall'appartenenza alla NATO? Credo che, anche se abbiamo poco tempo, sia necessario acquisire almeno alcune risposte ineludibili. Alla presidente chiedo la disponibilità ad aumentare il numero delle audizioni previste; capisco che i tempi sono brevi e che occorre concludere il nostro lavoro, ma penso esistano altre persone che potrebbero fornirci elementi utili. Mi chiedo se i nostri interlocutori non possano addirittura darci indicazioni in questo senso.

LUIGI SARACENI. Sarebbe una funzione utile svolta da questa Commissione fare da cassa di risonanza per episodi di cui - come diceva la professoressa Severino - si sa poco: non si è avuta nessuna eco della notizia sui tre ergastoli di cui parlavamo. Presupposto di tutto ciò, però, è una domanda: si conosce tutto o c'è ancora qualcosa da sapere? Si tratta solo di amplificare ciò che già esiste o dobbiamo cercare in altre direzioni? C'è qualche altro archivio in cui reperire notizie? Che suggerimenti potete darci sulle direzioni da percorrere? Leggo una lettera del professor Pezzino dell'università di Pisa, il quale ritiene che si debba indagare nel quadro delle relazioni tra l'Italia e gli alleati: vi sarebbe stato un mutamento di indirizzo da parte di questi ultimi, che all'inizio avrebbero addirittura voluto avviare una specie di "Norimberga italiana". Egli poi fa un'affermazione su cui vorrei la vostra autorevole opinione, visto che avete già trattato il tema: il professor Pezzino ritiene necessaria un'accurata indagine storica sulle relazioni fra Italia e alleati, che potrebbe fornire la chiave di lettura di una vicenda sulla quale, a tutt'oggi, gli elementi conoscitivi sono scarsi e confusi, permettendo una precisa ricostruzione di una vicenda complessa, per la quale i dati documentari vanno cercati in un pluralità di archivi, italiani ed esteri. Vorrei verificare se si registra una convergenza di valutazione sull'affermazione che c'è ancora tanto materiale da cercare, che non si conosce: ripeto che sarebbe opportuno che ci indicaste in quale direzione ricercare, per far sì che la nostra attività sia proficua.

ENNIO PARRELLI. Ho provato orrore per il fatto, perché mi ha fatto ripiombare all'indietro, agli anni della mia giovinezza tutt'altro che spensierata, ma soprattutto sgomento per l'occultamento, che mi investe come persona, come deputato, come avvocato il quale ha creduto e continua a credere, nonostante tutto, nella giustizia. Provo inoltre gratitudine per voi: lo dico con assoluto convincimento; per lei, professoressa Severino, per lei, procuratore Intelisano, e per lei, procuratore Rosin. Questa Commissione deve andare avanti e concludere al più presto il profilo dell'informativa. Se ci illudiamo di voler far troppo anche su questo piano, finiremo per non far niente.

PRESIDENTE. Per quanto riguarda gli aspetti che concernono i lavori della Commissione, questa indagine ha già ottenuto una proroga fino al 15 febbraio; entro questo termine ascolteremo sicuramente il professor Pezzino, perché gli spunti che egli potrebbe fornire alla Commissione e che sarebbero consacrati negli atti del Parlamento potrebbero essere utilizzati anche nella prossima legislatura e sicuramente saranno di grande interesse. Forse posso nutrire rimpianto per il fatto che, sin dal momento in cui proposi l'indagine conoscitiva alla Commissione, avevo prospettato l'opportunità di ascoltare anche esponenti dei dipartimenti di storia delle varie università italiane per cercare di comprendere quali di essi fossero impegnati nella ricerca su questo periodo e su questi temi; la richiesta a suo tempo non venne accolta per opposizione di alcuni colleghi della Commissione. I fatti attestati ci pongono oggi nella necessità di ascoltare il professor Pezzino e la Commissione, molto ragionevolmente, ha deliberato in questo senso. Non so se riusciremo ad ascoltare anche altri soggetti, perché i tempi sono quelli che sono e i colleghi sanno che la nostra agenda di lavoro è già molto fitta. Credo che la Commissione debba tentare, prima che scada il termine dell'indagine conoscitiva, di organizzare il maggior numero di incontri possibile. Do ora la parola ai nostri ospiti per la risposta ai quesiti posti.

PAOLA SEVERINO, Vicepresidente del Consiglio della magistratura militare. Per quanto riguarda i discorsi inaugurali, purtroppo non ne abbiamo; la nostra indagine si è svolta tutta su base documentale e tutti i documenti disponibili per il Consiglio della magistratura militare sono stati acquisiti. All'epoca non vi erano inaugurazioni dell'anno giudiziario militare e quindi non v'è traccia di quei discorsi. Né vi è ulteriore traccia, rispetto a quello che è stato riportato nella nostra delibera, nei verbali della riunione presso la Presidenza del Consiglio dei ministri. E' ovvio che se vi sono indicazioni occulte, queste non vengono riportate nei verbali. Per quanto riguarda i nomi dei partecipanti, rinvio al procuratore Rosin, il quale, come relatore della pratica, forse può ricordarli; eventualmente potremo acquisire il dato. Il problema rientra nel
quadro generale delle acquisizioni documentali.

RAFFAELE MAROTTA. Sembra che tutto si inscriva nella linea evolutiva delle premesse gettate in quella riunione.

PAOLA SEVERINO, Vicepresidente del Consiglio della magistratura militare. Questo si ricollega anche alla constatazione che ben tre diversi procuratori generali sono intervenuti in momenti importati di questa vicenda: Borsari per il periodo 1944-1954, Mirabella dal 1954 al 1958 (periodo in cui si colloca quello scambio di note tra il Ministero della difesa e quello degli esteri del 1956), Santacroce per il periodo dal 1958 al 1974 (in cui rientrano le archiviazioni del 1960 e i cosiddetti inoltri "selezionati"). E' ben strano - lo dice la logica - che tre persone che si sono succedute nel tempo abbiano seguito una linea assolutamente conforme: questo farebbe pensare a quella che abbiamo definito "ragion di Stato", ma che naturalmente non potevamo documentare nella nostra relazione perché non avevamo altri argomenti se non quelli derivanti da quei tre documenti e dalla nostra logica, che peraltro mi sembra possa essere condivisa da molti. Per quanto riguarda le richieste di documentazione, e cioè l'elenco dei 695 fascicoli e tutto il materiale che può essere utile, anche di natura processuale, credo di rappresentare il pensiero del dottor Rosin, componente come me del Consiglio della magistratura militare, se dico che mi farò interprete di questa richiesta presso il Consiglio stesso. Spero di poter adempiere a questo impegno in tempi rapidi: il comitato di presidenza si riunirà tra pochi giorni ed in quella sede, se ritenete che la nostra documentazione possa esservi utile, mi farò interprete della vostra esigenza affinché la documentazione stessa venga posta a vostra disposizione. Quanto al materiale processuale, distinguerei tra i processi per i quali si è già svolto il dibattimento, i cui atti naturalmente sono pubblici ed acquisibili, e quelli tuttora pendenti. Purtroppo uno di questi ultimi è proprio quello relativo alla strage di Stazzema.

ROSANNA MORONI. Quanti sono i processi pendenti, professoressa?

PAOLA SEVERINO, Vicepresidente del Consiglio della magistratura militare. Purtroppo non ho gli ultimi dati: dovrei verificare nelle statistiche allegate alla relazione di inaugurazione dell'anno giudiziario, che credo peraltro sia in vostro possesso. Ad ogni modo, si tratta sicuramente di un dato acquisibile. I versanti sono almeno tre: noi abbiamo potuto esplorare quello interno alla magistratura militare; l'altro versante è il Ministero della difesa, che peraltro ci ha fornito documentazione, e l'ultimo è il Ministero degli affari esteri. Le uniche tracce documentali di interlocuzione tra organi di Governo di cui siamo entrati in possesso sono state proprio quelle relative ai rapporti tra Ministeri degli affari esteri e della difesa. Non sta certo a me dare indicazioni su dove possano trovarsi ulteriori elementi; posso solo dire che le tracce documentali che abbiamo si riferiscono a scambi di lettere tra tribunale supremo militare, Ministero della difesa e Ministero degli affari esteri.

ROSANNA MORONI. Possiamo avere copia di questa documentazione?

PAOLA SEVERINO, Vicepresidente del Consiglio della magistratura militare. Se lei si riferisce agli atti sottostanti all'indagine del Consiglio della magistratura militare, non sono io che posso decidere. Il rilascio di copia di documenti è una scelta che dipende dal comitato di presidenza del Consiglio stesso, al quale trasmetterò la vostra richiesta.

PRESIDENTE. La ringrazio, professoressa Severino. Ricordo ai colleghi che la documentazione che ci sarà inviata formerà oggetto di un fascicolo per renderla pubblica e che conterrà anche il documento conclusivo dell'indagine conoscitiva. Prego dottor Intelisano.

ANTONINO INTELISANO, Procuratore militare della Repubblica presso il tribunale militare di Roma. Vorrei limitarmi a fare due considerazioni relative a due aspetti che secondo me condizionano il lavoro in progress della Commissione giustizia. La prima riguarda la consistenza di ciò che si trova nei fascicoli a nostra disposizione. Generalizzando (in tutte le generalizzazioni c'è molto pressappochismo) direi che la consistenza conoscitiva è inversamente proporzionale alla gravità dei fatti; molto spesso, all'interno dei fascicoli, è presente solo il fonogramma della stazione dei carabinieri o la denuncia. Sicuramente, anche se povero, è un materiale interessante dal punto di vista storico, se preso come campione; ciò è tanto vero che sono in corso parecchie iniziative di storici, di comitati di enti locali, eccetera, per tentare di colmare questa lacuna. Non si può - ammesso che non vi fossero difficoltà di carattere acquisitivo o di conoscibilità di atti relativi, per esempio, ad indagini in corso - sperare di avere un'idea chiara di tutto quello che è successo grazie all'esame di quei carteggi. A questa attività sta supplendo sia il mondo accademico sia una serie di iniziative della società civile che cercano in questo senso di recuperare la memoria. Segnalo solo, a titolo di esempio, che un'associazione per la memoria e la storia della Repubblica, presieduta dal Presidente Scalfaro, si muove in questa direzione coinvolgendo anche gli enti locali. Credo che sia questa la strada da seguire, anche perché in molti casi, dovendo ricostruire fatti - sia pure per arrivare all'archiviazione, come pure è accaduto - mi sono avvalso o di memorialistica locale (ad esempio studi storici fatti in sede locale, anche se non divulgati più di tanto) oppure di memorialistica senza connotazioni di completezza come interviste a giornali fatte ad eredi delle vittime e così via. Manca quindi un referente unitario dal punto di vista conoscitivo e secondo me (questo va valutato in relazione ai tempi) si deve integrare l'apporto delle varie fonti. La seconda osservazione, ricollegandomi alle considerazioni fatte dal presidente poco fa a proposito delle garanzie ordinamentali, è la seguente. Come è stato possibile arrivare a questo punto? Il motivo è che, fino al 1981, la magistratura militare non conosceva nel dettaglio le garanzie di indipendenza, di terzietà, di imparzialità e quant'altro previste dalla Costituzione anche per le magistrature speciali. Il procuratore generale era - per usare un'espressione del Presidente Violante - una sorta di pubblico ministero in camera di consiglio, perché da lui dipendevano anche i magistrati giudicanti; era l'organo di collegamento con le istanze di tipo amministrativo e direi anche di tipo politico. Ciò rendeva possibili operazioni cui non si trattava di certezza del diritto: si era proprio al di fuori di qualsiasi ipotesi ricostruttiva e di qualunque referente normativo. Per fortuna, oggi tutto questo non esiste più, ma credo che sia un dato su cui riflettere per capire come possa essere stata emanata un'eventuale direttiva politica, sia pure giustificata formalmente come ragion di Stato.

PRESIDENTE. La ringrazio, procuratore Intelisano. Do la parola al dottor Rosin.

GIUSEPPE ROSIN, Procuratore militare della Repubblica presso il tribunale militare di Verona. A meno che non vi siano altre domande specifiche, mi limiterei a dire che è certo che prima del 1981 la magistratura militare aveva un'organizzazione verticistica per cui tutti dipendevano dal procuratore generale. Egli, a sua volta, come un qualsiasi altro funzionario dello Stato, veniva nominato dal Consiglio dei ministri, il quale lo sceglieva anche tra apparati estranei alla magistratura militare. Tuttavia è anche vero che, per quanto riguarda la questione di cui ci occupiamo, non bisogna necessariamente pensare ad ulteriori direttive: a quanto ci risulta, il meccanismo ha potuto funzionare solo con la direttiva al vertice; dove sono intervenute sufficienti denunce "dal basso" (magari perché a livello locale qualcuno aveva denunciato oppure perché si trattava di un fatto particolarmente eclatante, che quindi non poteva essere ignorato) i processi - pochi - sono stati celebrati.

ROSANNA MORONI. Il caso di Marzabotto!

GIUSEPPE ROSIN, Procuratore militare della Repubblica presso il tribunale militare di Verona. Quello ed altri casi: sono stati pochi processi, ma si sono celebrati. Quindi, la presenza di un certo tipo di ordinamento ha avuto il suo peso, ma è stato sufficiente attingere al vertice, perché è stato materialmente precluso alle procure militari di avere quei dossier.

PRESIDENTE. La ringrazio, dottor Rosin. Lei ha fatto un'osservazione molto acuta. E' ovvio: i magistrati militari competenti non ebbero quei fascicoli perché il livello politico ed istituzionale aveva deciso che essi dovessero essere accentrati in un unico ufficio (e quindi avere riferimento ad un'unica persona, in quel caso il procuratore militare di Roma). La decisione politica era maturata in quel contesto e poteva non soffrire, in tutti i casi, di una spinta dal basso che necessitasse di una risposta. Credo che quest'ultima ricostruzione, che niente toglie alle osservazioni del dottor Intelisano e a quelle che mi ero permessa di fare prima io stessa, riassuma in modo molto pregnante l'incontro che abbiamo avuto oggi. Ringrazio la professoressa Severino e i dottori Intelisano e Rosin: saremo lieti di ricevere la documentazione che il comitato di presidenza del Consiglio della magistratura militare riterrà di poter mettere a disposizione della Commissione. Credo di potervi ringraziare, a nome di tutti i colleghi, non soltanto per l'audizione ma anche - come ha fatto prima l'onorevole Parrelli - per il vostro lavoro.

Dichiaro chiusa l'audizione.

La seduta termina alle 15.45.

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Aggiornato al:
19.02.2013
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578767