Da un lato il Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano e dall’altro la Comunità del Cibo e dell’Agrobiodiversità dell’Amiata, con l’aiuto dell’Università di Pisa, hanno recuperato rispettivamente 2 varietà a rischio di estinzione dell’Isola del Giglio e 2 dell’Amiata.
Su un finanziamento della Regione Toscana per la Comunità del Cibo dell’Amiata e su un proprio finanziamento da parte del Parco, per l’Università di Pisa è stato possibile recuperare, caratterizzare iscrivere al Repertorio regionale delle razze e varietà locali a rischio di estinzione della Toscana, le varietà:
- sull’Isola del Giglio: il Cavolo Torso del Giglio e il Pomodoro si Scasso;
- sull’Amiata: il Fagiolo del Minatore e il Granturco di Castell’Azzara.
► Isola del Gigio
Il cavolo torso del Giglio
(http://germoplasma.regione.toscana.it/MESI_Menu/Elemento.php?ID=1176 )
Il Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano ha finanziato all’Università di Pisa, un progetto di recupero di 2 varietà locali a rischio di estinzione dell’Isola del Giglio, grazie anche all’interessamento del Circolo Culturale Gigliese. Tale ortaggio, chiamato "cavolo torso", veniva coltivato sull’isola "ab immemorabile" e per fini gastronomici. Sembra che gli agricoltori dell’isola coltivavano questa varietà da “più di quattro generazioni, oltre che negli orti della località del Mortoleto anche in molti altri luoghi dell’isola, nei quali i fattori pedologici conferiscono al terreno le caratteristiche colturali adatte per la coltivazione del vegetale”. La varietà cavolo torso viene coltivata in piccoli orti familiari dell’Isola del Giglio. Il rischio di estinzione è alto sia per il numero dei coltivatori che per l’età degli stessi. Inoltre vi contribuisce la limitata dimensione delle superfici coltivate e l’assenza di un sistema di conservazione in situ ed ex situ che, con l’iscrizione al Repertorio regionale della LR 64/04, può da oggi partire.
Nel corso degli ultimi anni il tradizionale “Cavolo torso” del Giglio è stato utilizzato sporadicamente in sagre e manifestazioni estive riscuotendo un notevole apprezzamento da parte del pubblico. Nel passato era stato manifestato un certo interesse nei confronti del cavolo torso anche da parte della grande distribuzione organizzata, ma i quantitativi richiesti non erano minimamente paragonabili con la esigua quantità prodotta dai pochi agricoltori gigliesi. L’iscrizione al Repertorio regionale potrebbe essere un primo passo verso una vera valorizzazione del prodotto.
Pomodori di scasso
(http://germoplasma.regione.toscana.it/MESI_Menu/Elemento.php?ID=1177 )
Il Circolo Cultrale del Gigliese, nella persona del suo presidente, un tempo medico condotto nell’Isola del Giglio, racconta che di questa varietà di pomodori si conosce anche le vicende dal punto di vista etno-botanico. Infatti un sacerdote gigliese del '700, Domenico Aldi, soprannominato Fontana, dell’arcipretura di San Pietro e Paolo di Giglio Castello, aveva la passione di salare le acciughe e conservarle in giarrette, secondo la tradizione isolana. Una volta all’anno si recava a Firenze in un convento di frati a cui faceva omaggio delle sue acciughe e riceveva in cambio prodotti della campagna toscana. Una volta i frati gli regalarono dei semi di pomodoro che non avevano necessità di essere annaffiati purché fossero seminati in terreno ben dissodato: una caratteristica molto favorevole del terreno agrario del Giglio, isola molto siccitosa. La zappatura profonda delle vigne viene chiamata al Giglio “scasso” e i pomodori coltivati con successo furono detti “Pomodori di scasso” o “Pomodori di Fontana”. Questi pomodori non vengono infatti coltivati negli orti ma nelle vigne, in particolare quando queste vengono periodicamente zappate più a fondo (in termini locali "scassate", da cui il nome di pomodori di "scasso"). I frutti sono grossi, polilobati di color rosso intenso e vengono utilizzati soprattutto per la preparazione di conserve. La varietà, per fortuna, è stata fino ad oggi coltivata da alcuni agricoltori dell’isola, che hanno mantenuto e conservato nel tempo questa tipicità locale.
Questo tipo di pomodoro è molto adatto per fare salse, per “strusciarlo sul pane” (pane olio, sale e pomodoro) e per fare i pomodori secchi, soprattutto per la particolarità di contenere uno scarso quantitativo di acqua. I frutti vengono quindi consumati freschi, appena raccolti, oppure trasformati sia in passate, destinate a vari tipi di salse, sia essiccati.
La Comunità del Cibo dell’Amiata si è costituita ufficialmente come Rete d’Impresa il primo febbraio 2021. E’composta da16 imprese tra agricole e artigianali di trasformazione, con lo scopo principale di salvaguardare l’agrobiodiversità del territorio amiatino quale risorsa imprescindibile di sviluppo e come volano economico delle proprie attività. Si tratta di un soggetto economico che può contribuire allo sviluppo del territorio, coniugando sostenibilità economica con salvaguardia dei valori sociali ed ambientali. La comunità del Cibo dell’Amiata ha come scopo principale quello di sensibilizzare un territorio ai temi della biodiversità di interesse agricolo e alimentare, andando alla riscoperta di risorse a rischio di estinzione e al coinvolgimento di tutte le componenti della società civile per dare visibilità e voce ad un patrimonio inespresso e potenzialmente rilevante di tante piccole realtà produttive che formano il tessuto vivo dell’Amiata.
Grazie ad un progetto finanziato dalla Regione Toscana con un bando pubblico del 2021, la Comunità del Cibo e dell’Agrobiodiversità dell’Amiata, con il supporto dell’Università di Pisa, ha potuto recuperare, caratterizzare, iscrivere al Repertorio regionale delle varietà locali della Toscana (LR 64/04), 2 antiche varietà in grave rischio di estinzione: il Fagiolo borlotto del Minatore e il Granturco di Castell’Azzara.
► Territorio Amiantino
Il Fagiolo Borlotto del Minatore
(http://germoplasma.regione.toscana.it/MESI_Menu/Elemento.php?ID=1173 )
Grazie al progetto l’Università di Pisa ha potuto accertare il legame di questa varietà locale con il territorio amiatino. Questo fagiolo è stato conservato e da sempre coltivato da un agricoltore di Castell'Azzara, il Sig. Alberto Lazzeri (che purtroppo è deceduto), e dalla sua famiglia alla quale è stato tramandato dalle generazioni precedenti. Infatti il nome "del Minatore" riporta alla presenza delle miniere nell'Amiata che per circa un secolo (1870-1970) sono state attive. Oggi, grazie alla costanza della famiglia Lazzeri, che lo ha riprodotto e custodito nel tempo, alcuni agricoltori della Comunità del Cibo dell’Amiata, hanno ripreso, negli ultimi anni, a coltivare questo fagiolo e ad apprezzarne sempre di più le caratteristiche qualitative.
Il Fagiolo borlotto del Minatore veniva coltivato nei “granturcai” in consociazione con il granturco locale; il culmo della pianta del granturco fungeva da tutore alla pianta di fagiolo ed entrambe venivano raccolte a mano. Oggi questa varietà è ad alto rischio di estinzione. I fattori che più incidono sulla quantificazione del rischio sono essenzialmente dovuti sia al ridotto numero di coltivatori, che alla limitata dimensione delle superfici coltivate. Si gusta dopo opportuno ammollo e lessatura, tipicamente utilizzato in minestre e zuppe; può anche essere consumato anche in bianco condito con sale, pepe, olio e aceto. Come tutti i fagioli borlotti, anche questo è particolarmente indicato nelle zuppe ed impiegato in un tipico piatto della tradizione locale chiamato “minestra con i ceciarelli”. I ceciarelli vengono realizzati con l’impasto di acqua e farina di grano duro; a questo impasto viene data la forma di piccoli ceci che vengono fatti cuocere nel brodo dei fagioli borlotti.
Il Granturco di Castell'azzara
(http://germoplasma.regione.toscana.it/MESI_Menu/Elemento.php?ID=1174 )
Dalle prime informazioni avute dagli agricoltori e dai vari soggetti interessati alla messa in sicurezza della varietà, emerge che, insieme alla castagna, il granturco è stato fin dalla metà del 1700 la principale fonte di sostentamento degli abitanti dell’area dell’Amiata. La sua produzione e conservazione significavano la vita di una comunità fino alla prima metà del 1900 quando venne quasi completamente sostituito da altri cereali, principalmente dal grano. La coltivazione del granturco venne quasi del tutto interrotta a seguito della dismissione dell’attività mineraria con conseguente spopolamento delle aree montane e sub-montane del territorio amiatino. Fortunatamente e grazie alla tenacia e lungimiranza, di un agricoltore di Castell’Azzara, Silvio Papalini, i semi di questa varietà autoctona sono stati mantenuti nel tempo, fino ad oggi.
Numerose sono le testimonianze riportate in particolare in tre articoli pubblicati sul Notiziario Bimestrale dell'Associazione "Amici dell'Orso" di Castell'Azzara, pubblicati oggi nel Repertorio regionale all’indirizzo https://www.regione.toscana.it/-/consultazione-delle-banche-dati
Varietà ad alto rischio di estinzione; i fattori che più incidono sulla sua quantificazione sono essenzialmente dovuti sia al ridotto numero di coltivatori che alla limitata dimensione delle superfici coltivate. Non ci sono notizie della presenza della coltura di questa varietà in altre zone italiane.
Nell’ambito di una manifestazione culinaria dedicata al recupero dei sapori locali vengono riproposte ricette antiche a base di polenta come ad esempio le fette di polenta passate sulla piastra della stufa economica per renderle croccanti senza friggerle (dato che l’olio di oliva era prezioso in quei tempi) accompagnate con formaggio; oppure la semplice polenta accompagnata ai fegatelli di maiale.