Le trasferte degli ultimi mesi degli inquirenti fiorentini sul Lago d'Orta in Piemonte, luogo di latitanza di mafiosi negli anni Ottanta e Novanta ma anche frequentati da uomini di Stato e dei servizi, le trasferte a Palermo, i nuovi interrogatori ai boss Graviano in carcere a Terni, lo scambio continuo di informazioni tra procure di più parti d'Italia per evitare il rischio, presente anche oggi dicono i magistrati, di nuovi depistaggi.
L’impressione è che stavolta si possa davvero essere vicini ad una svolta sulle verità della strage dei Georgofili del 27 maggio e sulle altre stragi mafiose del 1993 e 1994. Una stagione buia dell’Italia. Una guerra per poi arrivare a patti e fare la pace, cancellando magari il carcere duro del 41 bis. La speranza di squarciare l’ultimo velo è la sensazione almeno dopo oltre tre ore di ricordi, racconti, appelli ed interventi della lunga commemorazione, in forma di seminario trasmesso in streaming nel pomeriggio da Sant’Apollonia a Firenze, organizzato dalla Regione. Presenti le istituzioni, i magistrati (fiorentini e nazionali), i familiari delle vittime e gli studenti di un liceo della città.
Ventotto anni fa Firenze si trovò nel mezzo di una guerra, feroce, e di una trattativa tra mafia e Stato. Fu una strage – quella dove morirono Angela Fiume e Fabrizio Nencioni, le loro figlie Nadia e Caterina di nove anni e due mesi e lo studente universitario fuori sede di Sarzana Dario Capolicchio – che fu parte di un più ampio progetto di destabilizzazione della democrazia e di attacchi feroci ai protagonisti della lotta alla criminalità, ricorda Luigi Dainelli, presidente dell’associazione dei familiari delle vittime.
La verità sugli organizzatori ed esecutori di quell’attentato nel cuore di Firenze che provocò la morte di cinque persone, preceduta e seguita da almeno altri sette od otto atti criminali simili in tutta Italia, è scritta nelle tre sentenze definitive (diciotto ergastoli) dei tre processi fiorentini, ricorda l’avvocato Danilo Ammannato, legale di parte civile dell’associazione dei familiari vittime della strage. “La verità storica la conosciamo – dice - ed anche quella giudiziaria è acclarata, al 95 per cento”. “Manca – aggiunge, invocando l’apertura di un dibattimento naturalmente fondato su precisi e circostanziati fatti giudiziari – quella sui concorrenti esterni, quelli che a Cosa Nostra hanno suggerito, dato indicazioni o chiesto favori. Quello rimane da scoprire.”.
E in quella direzione pare che si stiano muovendo (e negli ultimi mesi si sono accelerate) le indagini. “L’attività della magistratura non si è mai fermata di fronte all’esigenza di fare luce” sottolinea il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho, intervenuto a Firenze. “Passi in avanti – racconta - si stanno facendo e si faranno. Gli uffici di più procure si stanno muovendo con grande dinamismo per conseguire il risultato della verità: ma che sia una verità reale – mette in chiaro - , corrispondente cioè a quel che è avvenuto veramente, senza infingimenti e senza esporre qualcuno a rischio di fare affermazioni che poi vengono smentite. Il nostro è un Paese in cui lo stato di diritto pretende che la prova effettivamente corrisponda a quei parametri che il nostro codice e la nostra Costituzione chiedono”. Magari anche rimuovendo il segreto di Stato sui documenti dei servizi di sicurezza, propone. “Quei servizi costituiscono un pilastro della nostra democrazia e sicurezza - aggiunge -, ma laddove i processi fanno emergere opacità è necessario che vi sia piena chiarezza”.
“La procura di Firenze sta spendendo le migliori energie in queste indagini svolte in coordinamento con altre procure distrettuali e sotto l’egida della procura nazionale” conferma il procuratore capo di Firenze Giuseppe Creazzo, che lancia anche l’allarme sulle capacità corruttiva e di penetrazione nell’economia legale della criminalità organizzata, forte di una grandissimi liquidità ed aiutata in questo dalla crisi economica del dopo Covid.
Il procuratore aggiunto di Firenze Luca Guido Tescaroli, anche lui intervenuto al convegno in Santa Apollonia, è ancora più chiaro sulle direzione su cui si sono avviate le indagini. “Stiamo lavorando – dice – per verificare se siano dimostrabili, su un piano processuale, convergenze e interessi sulle stragi di personaggi estranei al sodalizio mafioso, perché ci sono elementi che contengono in sé ambiguità e necessitano di spiegazioni: interrogativi su cui cercare una risposta”. Parla.di "raffinata intelligenza criminale" dietro quegli attentati e si sofferma pure sui collaboratori di giustizia, un istituto da difendere e semmai incentivare perché sono stati “decisivi nelle ricostruzione della verità oggi patrimonio di tutti”,
L’invito a cercare fino in fondo la verità arriva anche dalle istituzioni. “Dalla verità – sottolinea l’assessore alla legalità della Toscana, Stefano Ciuoffo – non possiamo mai sottrarci. E non può esservi approccio che tende a sottacere il pericolo o negarne l’esistenza, primo favore che si può fare alle mafie. Per questo il fenomeno delle mafie va studiato e monitorato”. Per questo va mantenuta la memoria e non abbassare mai la guardia, ricorda l’assessore alla legalità di Firenze Alessandro Martini. La tradizione legalitaria di una terra come la Toscana e la presenza di forti anticorpi potrebbe portare a sottovalutare il rischio. Di conseguenza anche l’educazione nelle scuole è importante.
“Dobbiamo impegnare tutte le energie positive delle comunità per contrastare le mafie” conclude e riassume il presidente della Toscana Eugenio Giani, che ricorda con commozione quella notte del 27 maggio 1993 che visse in prima persona da assessore al comune di Firenze sul luogo della strage, mentre con il passare dei minuti e delle ore l’ipotesi non di un incidente ma di una bomba e di un attentato pianificato nei più minuti particolari si faceva largo. Fu un grido di dolore, ricorda il sindaco di Firenze Nardella, che è diventato però una presa di coscienza collettiva e una mobilitazione che continua ancora oggi. Perché o si sta contro la mafia o si è complici della mafia. E perché, come ricordava spesso il giudice Caponnetto che a Firenze ha trascorso i suoi ultimi anni, la mafia alla fine ha più paura della scuola che della giustizia.