Diritti
8 aprile 2011
15:00

Settignano (Fi), 'Non abbiamo altra scelta'

SETTIGNANO (Fi), 8 aprile 2011 - Quando lascio Villa Pieragnoli, sulle colline di Firenze, vicino a Settignano, i dieci ragazzi che sono arrivati tra domenica e mercoled da Livorno, sono fuori dalla porta. Scherzano e parlano con l'unico carabiniere impegnato, diciamo cos , a sorvegliare la situazione. Ed in effetti si tratta di una sorveglianza molto discreta. Tutti gli ospiti hanno ampia libert di movimento, potendo uscire e tornare quando vogliono. Basta soltanto seguire le regole della casa: occhio agli orari dei tre pasti e coprifuoco a mezzanotte. Uno di loro, soprannominato Saber numero uno, dato che c' un altro Saber, il numero due, mi fa: "Je vous recommande de nous envoyer le journal... J'attends des nouvelles sur Facebook...". convinto che scriva per un giornale e mi chiede di farglielo avere, di dirgli qualcosa attraverso Facebook quando usciranno articolo e foto. Gli dico di s , ci salutiamo. Chiss se mai ci rivedremo.

C' il sole sulla strada che sale a Vincigliata, quella che porta a Villa Pieragnoli. Sole e silenzio, Lampedusa e la guerra sono lontane centinaia di chilometri. La Villa gestita dalla Caritas insieme all'Arci. Qui richiedenti asilo, profughi e rifugiati vengono accolti da alcuni operatori. Villa Pieragnoli fa parte del "Servizio Centrale del Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati" (Sprar), realizzato dal Ministero dell'Interno, dall'Associazione Nazionale Comuni Italiani (ANCI) e dall'Alto Commissariato per le Nazioni Unite per i rifugiati (ACNUR). Cinque dei dieci ospiti tunisini sono arrivati domenica scorsa, quasi all'alba. La mattina dopo, cinque di loro non hanno fatto neppure in tempo a concludere le operazioni di identificazione che erano gi scappati. Al loro posto ne sono arrivati altri 5, dal secondo gruppo sbarcato a Livorno l'altro ieri.

Davanti all'ingresso della Villa c' soltanto un auto dei Carabinieri. Suono il campanello due volte ma non apre nessuno. Telefono e una voce maschile mi avverte che la responsabile, Anna Maria Tedde, la persona con la quale ho fissato l'appuntamento, intrappolata nel traffico fiorentino. Arriver tra una mezz'ora. Spiego allora chi sono e perch sono l e mi fanno entrare. Si fidano, non mi chiedono documenti o tesserini.

Alcuni dei ragazzi tunisini sono ancora a fare colazione, nell'ampio salone dove vengono consumati i pasti. La Villa in grado di dare accoglienza a 55 persone. Sono dieci i posti messi a disposizione dopo la richiesta della Regione. Tutti in una stanza unica, in un'ala della Villa costruita in un momento successivo, che di solito dedicata ad attivit formative o a giochi. Dieci brande sistemate in due file. "Dovremo rivedere la sistemazione mi dir alla fine della visita Anna Maria perch qui c' soltanto un bagno e per lavarsi bisogna andare nella parte principale della Villa. Comunque le altre persone che gi erano ospitate li hanno accolti bene. Il loro unico timore che dovessero andarsene per far posto ai nuovi ospiti. circolata questa voce, subito smentita".

"La situazione dice ancora Anna Maria relativamente tranquilla. La maggior parte, quando sono arrivati, non aveva niente, se non i vestiti con cui sono partiti dal loro paese. Qualcuno aveva un sacchetto con poche cose. Li abbiamo subito visitati e per fortuna gli unici problemi riscontrati sono stati un po' di raffreddore o febbre. Adesso, dopo l'emergenza e la stanchezza, cominciano le richieste: cosa accadr , qualche sigaretta, qualche soldo da spendere. Sono persone molto tranquille e con grande dignit "

Nel piccolo ingresso, subito dopo l'entrata, c' un piccolo via vai di persone. Trovo Samira, marocchina. Avr sui trentacinque anni. "Vivo in Italia da venti, con mio marito", mi fa sapere. Lavora come mediatrice culturale. "Del primo gruppo arrivato spiega Samira ce ne sono un paio che parlano anche un po' francese. Gli ultimi cinque arrivati hanno invece un livello culturale pi basso, parlano soltanto la loro lingua, l'arabo". Scambio due parole con lei, una delle prime persone che i ragazzi tunisini hanno incontrato appena arrivati a Firenze. "Mi hanno tutti chiesto la stessa cosa mi confida ancora Samira - una volta qui: ma stiamo sognando o quello che sta accadendo vero? Dopo tutto quello che hanno vissuto in dieci giorni a Lampedusa non gli sembrava vero di essere arrivati in un posto 'normale'".

Uno di loro ha appena finito di mangiare e ci passa davanti. Samira gli spiega velocemente, lo intuisco, che sono venuto qui per parlare con qualcuno di loro. Sono un giornalista. Il ragazzo scuote leggermente la testa, le risponde in arabo, preferisce non parlare. Samira, come a rassicurarmi, mi dice che gli altri sono disposti a fare due chiacchere. "Sono confusi e soprattutto agitati perch non sanno cosa gli accadr . Sono alla ricerca continua di informazioni, la situazione cambia continuamente".

I primi due ragazzi che decidono di raccontare la loro storia sono Saber numero uno e Raouf. Sono cugini, arrivano da Sfax, la seconda citt della Tunisia dopo Tunisi. Ci accomodiamo in una stanzina utilizzata per attivit didattiche. Ci sono vari libri, due tavoli, un computer. Sul muro sono appesi alcuni cartelli con disegni di oggetti e la traduzione in italiano. Saber numero uno ha 24 anni, un cappellino da baseball e una felpa, di quelle con il cappuccio. Ha un aspetto furbo e l'aria smaliziata, non mostra timori o timidezze. Raouf invece nell'aspetto, a differenza di altri suoi compagni, non tradisce l'et . Si vede che giovane e dimostra tutti i suoi 18 anni.

"Qui siamo stati trattati benissimo dicono - Come anche quando ci hanno fatto salire sulla nave che da Lampedusa ci ha portati a Livorno. Per noi stata la fine di un incubo". Saber numero uno rivela che "a Lampedusa non proprio come nelle immagini che passano in tv, peggio. In Tunisia non abbiamo mai dovuto dormire per terra o non aver niente da mangiare. A Lampedusa successo. Siamo stati trattati come animali, centinaia di persone costrette a vivere in condizioni inumane. Poi arrivata la nave che ci ha portati a Livorno, un albergo a cinque stelle. Nei dieci giorni che siamo stati nell'isola sognavamo una nave grande e piena di luci, che ci portasse via da qua. Siamo passati dalla fame e dal freddo ad un hotel di lusso. Il sogno che diventa realt . Io non ci credevo". Un giorno intero per arrivare a Livorno da Lampedusa. "E quando siamo arrivati qui dice quasi sottovoce Raouf - abbiamo trovato altre persone buone. Siamo stati fortunati".

Ad un certo punto sentiamo dei passi avvicinarsi. Bussano alla porta, entra Anna Maria. Si rivolge ai due ragazzi: "E gli altri che fanno? Dormono ancora? Voi come state? Avete dormito?". Saber numero uno risponde: "Oui, si!". Soddisfazione mista a sorpresa di Anna Maria. "Avete capito? Che bravi! Abbiamo cominciato a insegnargli le parole base in italiano, quando andranno via da qua gli faranno comodo. anche un modo per tenerli un po' occupati durante il giorno. Per si rammarica sono venuti a lezione soltanto il secondo giorno". "Ieri due o tre di loro non sono tornati a pranzo. Ho temuto se ne fossero andati. Mi sarebbe dispiaciuto da morire, sono appena arrivati. Ripartire subito significa incontrare nuove difficolt . Una volta che la situazione si sar assestata saranno liberi di fare le loro scelte. Ma vederli ripartire subito...". La libert di movimento assoluta, ma se decidono di restare devono rispettare qualche semplice regola. "Basta che ci facciano sapere se ci saranno a colazione, pranzo e cena e che rientrino entro mezzanotte spiega Anna Maria - Questa una piccola comunit , con altre 45 persone, credo sia giusto darsi un minimo di condotta, anche soltanto per permettere al personale della struttura di organizzarsi".

Saber numero uno quello che ha pi voglia di raccontarsi. Raouf pi timido, una timidezza che rasenta la diffidenza. "A Sfax ho lasciato mia madre e mia sorella dice il primo ho un altro fratello ma vive da un'altra parte, sposato. Laggi studiavo e lavoravo. Frequentavo il secondo anno all'universit , geografia. Ma dopo la rivoluzione non avevo pi soldi e non potevo permettermi di continuare gli studi e allora ho deciso di partire". Gli chiedo se facile lasciare la Tunisia. "Facile facile - risponde Raouf - pi difficile trovare la persona giusta. Per non c' altra soluzione, se vuoi andartene devi rischiare". L'Italia soltanto una tappa? "Non ho parenti da altre parti dice Saber numero uno se mi trovo bene potrei anche restare". "Se riesco a trovare un lavoro resto confida Raouf senn mi rimetto in marcia".

Sami, Saber numero due, Zouhaier, Sadok e Ismail fanno tutti parte del secondo gruppo, quello approdato nel porto di Livorno mercoled mattina. Entrano un po' alla volta. Via via che arrivano ci salutiamo in italiano. "Vengo da Kairouan, 70 chilometri dal mare", dice Sami, 27 anni e un viso sveglio con due occhi che ti studiano da cima a fondo. Ha quasi l'aria di un bambino, dimostra almeno 6-7 anni di meno. "Ho parenti in Francia e in Sicilia. In Tunisia di lavoro ce n' poco e devo trovare il modo per mandare soldi a casa. Mia madre e due sorelle (sono nove in tutto in famiglia) sono diabetiche, cure e visite costano tantissimo. Faccio l'imbianchino, spero di trovare qualcosa, che sia qui o da un'altra parte".

Lavoro, soldi: questo quello che accomuna tutti gli altri sei ragazzi. E come loro tutte le altre centinaia, in fuga dalla guerra e dalla miseria. "Siamo sette, tra fratelli e sorelle prende la parola Saber numero due, 26 anni e due occhi chiari sotto un cesto di capelli scuri, faccia simpatica ed estroversa Quattro di loro sono piccole e hanno bisogno di denaro per andare a scuola". Hanno tutti famiglie numerose. Zouhaier, quello, insieme a Sadok, pi taciturno. Il primo ha 26 anni, il secondo 29. Zouhaier ha perso il padre. Cinque i fratelli pi piccoli, pi la madre da accudire. La famiglia di Sadok composta da nove persone. "Tutti i miei fratelli e sorelle studiano, ma per poter continuare hanno bisogno di qualcuno che gli mandi i soldi".

Il quinto il pi vecchio, Ismail, 32 anni. A differenza degli altri dimostra la sua et . "Siamo sette in tutto. Non sono sposato, non ho la ragazza, non ho una casa, non ho niente. L'unico motivo per il quale sono scappato trovare un lavoro serio, non sono qua per perdere tempo". Chiedo se si sono mai interessati di politica. Sami non ha esitazioni. "Mai. Nel nostro paese la democrazia esiste solo sulla carta e la gente pensa soltanto a studiare o a lavorare. L'informazione su quello che succede poca e noi non dobbiamo preoccuparci di queste cose".

Bussano di nuovo, ancora Anna Maria. Stavolta in compagnia di un altro operatore, Giuseppe, che lavora all'Arci. Sono gli occhi chiari di Saber numero due ad attirare l'attenzione di Anna Maria, che si lascia andare ad un complimento. Il ragazzo sembra capire e si copre, per non far vedere l'imbarazzo. "Ma allora capite quello che diciamo", chiede sorpresa Anna Maria la quale poi, rivolta sempre verso Saber numero due, scherza: "Tu hai vent'anni, altro che ventisei. Tu invece indicando Ismail sei il pi vecchio. Quanti ne hai?". "Trentadue".

Restiamo di nuovo soli e il racconto stavolta si concentra sul viaggio dalla Tunisia a Lampedusa. Saber numero due, Sami ed Ismail, sono i pi loquaci. Sono loro a prendere la parola. "Sapevamo che fosse duro ma non cos . E soprattutto non ci aspettavamo un'accoglienza come quella che abbiamo avuto a Lampedusa. La Tunisia, che un paese pi piccolo e con meno mezzi dell'Italia, ha accolto in altro modo tutte le migliaia di profughi provenienti dalla Libia. Li ha trattati come persone. Ci attendevamo un trattamento simile in Italia, un paese democratico. E invece ci hanno trattati come bestie, 10 giorni senza lavarci, dormendo all'aperto. Una volta qua non abbiamo mai smesso di ringraziare".

Sami e Saber numero due erano in un barcone, Zouhaier e Sadok in un altro, Ismail in un altro ancora. Viaggi anche pi lunghi di un giorno, uno appiccicato all'altro. "Eravamo pi di cento persone, in condizioni assurde, con l'acqua che continuava ad entrare". Ismail, che ha avuto la 'fortuna' di viaggiare in una barca con soltanto 43 persone, mostra sul suo telefono la foto del mezzo che lo ha portato lontano dal suo paese. Poi Saber numero due chiude la conversazione: "Avevamo tutti tanta paura. Soprattutto quando in mare ci sono le tempeste e la barca rischia di ribaltarsi. Purtroppo le tre regole non scritte di questi viaggi della speranza sono: o muori, o lasci perdere o ce la fai. Non c' scelta".