Quando la vita di una persona diventa un simbolo dei valori che ha rappresentato il suo ricordo supera il contesto, anche vasto, di chi lo ha personalmente conosciuto, frequentato, incontrato e diventa un frammento di memoria collettiva, condivisa, espressione di un affetto comune raffigurato nel cinema, nella canzone popolare, nella letteratura, nel racconto giornalistico.
Questo accade quando la vita e la morte diventano, loro malgrado e purtroppo senza intenzione, momenti esemplari di un percorso nel quale molti finiscono col riconoscersi nella parte migliore di quel che si ammira e si immagina.
Peppino Impastato è il giovane dei “Cento passi”, il cronista coraggioso, la persona che trova la forza di fare quel che altri non hanno la forza o la capacità di fare, la voce libera di Radio Aut che diventa il simbolo del riscatto di un paese e di una intera Regione, l’esempio di una generazione di siciliani nuovi e diversi in tutto.
Troppo spesso di lui rimane oggi una sagoma stilizzata nei suoi momenti e nelle sue parole pubbliche, nella interpretazione cinematografica di Luigi Lo Cascio, nella rimarchevole sceneggiatura di Claudio Fava, Marco Tullio Giordana e Monica Zapelli che hanno avuto il merito di portare alla pubblica attenzione la vicenda tragica della sua morte, che il nove maggio 1978 fu sovrastata dal ritrovamento del corpo di Aldo Moro in via Caetani.
Pino Manzella, nel suo Peppino Impastato La memoria difficile, pubblicato da Guerini e Associati, presentato a palazzo Sacrati Strozzi dall’autore e dal curatore del volume Carlo Bommarito assieme al presidente della Regione Eugenio Giani, Serena Spinelli, assessora regionale alle Politiche sociali, edilizia residenziale e cooperazione internazionale, Caterina Blunda dell’Associazione Asadin, don Armando Zappolini della Caritas regionale e con la presenza di Vannino Chiti, presidente della Regione Toscana dal 1992 al 2000 e fino al 2018 deputato e senatore della Repubblica, si fa carico nelle pagine del libro di sostituire al “personaggio” la dimensione più autentica di Peppino Impastato attraverso le testimonianze di familiari e le storie inedite delle ragazze del Circolo Musica e Cultura, con le voci di amici e compagni che hanno vissuto accanto a lui, passando dagli anni dei giochi dell’infanzia alle lotte degli ultimi anni.
Nel libro trovano spazio racconti e aneddoti, vengono riportate integralmente le lettere con le minacce rivolte a Impastato ed alle sue attività, in tutte le pagine emerge l’entusiasmo e il desiderio di fare cose nuove che erano la cifra di quegli anni e da sole erano il senso di una ribellione alle cose di mafia, per sua natura avversa a qualsiasi cambiamento capace di mettere in discussione una criminale tranquillità consolidata in anni di prepotenza.
Come sottolinea l’assessora Spinelli “il libro ci racconta una storia collettiva e la voglia di cambiare un territorio e come da un impegno comune può nascere la capacità di portare avanti istanze e un’idea del mondo basata sulle esigenze e i diritti delle persone. Oggi la storia di Peppino Impastato e delle persone che con lui hanno vissuto quotidianamente il suo impegno civile ci dice ancora molto sulla necessità di percorsi condivisi, di analisi, di parole che comprendono la realtà e la riempiono di libri, musica, cultura, politica riflessioni che mettono in comune le vite di tanti in una comunità dove si sta tutti”.
Essere una persona “nuova”: questa era la forza di Peppino Impastato e delle persone che hanno fatto parte assieme a lui di una storia condivisa e popolano con i loro ricordi e parole semplici e dirette le duecento pagine del libro, sottolineando un aspetto comune a tutti: anche in un paese soffocato dalle convenzioni, dai pregiudizi, da quell’aria appiccicosa e ipocrita che è la vera base, più del denaro, del potere mafioso si possono fare scelte diverse, si può dire no, si può disubbidire al perbenismo molliccio di famiglie oppressive e prepotenti, si può ascoltare musica diversa, parlare liberamente dai microfoni di una radio libera, come allora si chiamavano, entrando nelle case delle persone, si può aprire gli occhi e accorgersi che fuori succede qualcosa che nessuno racconta, prendere in mano la propria vita e farne qualcosa di diverso, sentire che “mafia” è qualcuno che decide per te, non importa chi. Questo è il vero messaggio intollerabile che è costato la vita a Peppino Impastato ed ha un nome semplice: libertà. Una parola che da sola vale spesso “rivoluzione”.
Come ricorda Pino Manzella, che ha accompagnato con i suoi disegni e la sua grafica tutte le iniziative promosse all’epoca dall’associazione, “Peppino Impastato è in figlio del 68 che inizia il suo percorso politico con l’idea di “cambiare il mondo” organizzando concerti, spettacoli teatrali, organizzando una biblioteca “collettiva”. In un paese come Cinisi è la mafia il primo potere ostile che impedisce di fare questo perché ogni idea che libera pensieri e coscienze mette in discussione la sua stessa esistenza.”
“La memoria difficile” restituisce con le sue testimonianze, ognuna con il suo nome, la dimensione collettivi e condivisa dell’esperienza del gruppo di persone legate a Peppino Impastato e nello stesso tempo illumina di una luce nuova e più personale il profilo di uno dei protagonisti della vita culturale, politica e civile italiana degli ultimi anni, andando oltre la narrazione pubblica, cinematografica, musicale e celebrativa che ha accompagnato una delle figure simboliche della lotta contro le mafie.