Cultura
29 gennaio 2013
16:22

Lacrime, angoscia, un pugno allo stomaco. Le reazioni dei ragazzi toscani alla visita di Auschwitz

Lacrime, angoscia, un pugno allo stomaco. Le reazioni dei ragazzi toscani alla visita di Auschwitz

OSWIECIM (Polonia) - L'arrivo al campo madre di Auschwitz 1 poco dopo le otto di mattina. Non nevica e c'è pure un timido sole: attorno, nell'ora e mezzo di strada da Cracovia, tutto un paesaggio ammantato di bianco. Auschwitz 1 il primo campo aperto nel 1940 dai tedeschi, all'inizio utilizzato solo per l'intellighenzia polacca, quindi campo di lavoro e smistamento e poi di morte. Per i 557 ragazzi toscani del treno della memoria, gli 82 insegnanti che li accompagnano e gli ospiti il secondo giorno in Polonia.

A Birkenau hanno intuito la dimensione dello sterminio e lo sfinimento fisico. Ad Auschwitz, dove non solo si doveva morire ma si doveva morire con dolore e patimento, i ragazzi prendono coscienza dell'efficienza piegata al male. E più di uno piange. A guardare le foto e i filmati, gli oggetti requisiti ai prigionieri, i giocattoli rubati ai bambini. Orrori e pratiche sadiche si nascondono qui dietro l'apparente normalità di un ex caserma militare costruita dall'esercito polacco negli anni Venti, con i suoi edifici non in legno ma in mattoncini rossi, ordinata come tutte le caserme. Ed il colpo allo stomaco forse ancora più duro e forte.

Settantottomila visitatori italiani, 800 mila giovani

Un milione e mezzo di persone furono deportate e morirono ad Auschwitz e nei suoi sottocampi. In ottocento, in cinque anni, provarono a fuggire, ma in appena 144 ci riuscirono. Praticamente nessuno. Perché la storia non venga dimenticata e non si rischi di riviverla di nuovo, come una scritta ammonisce all'ingresso di una baracca, in tanti oggi visitano il museo, aperto appena due anni dopo la fine della guerra e diretto a lungo da un ex prigioniero. Nel 2011 sono state un milione e 405 mila persone: 78 mila erano italiani, 800 mila giovani.

Uno sterminio senza senso

Il corteo dei ragazzi toscani silenzioso e ordinato. Davanti al muro della memoria, il muro dove i tedeschi fucilavano i prigionieri del blocco della morte, stata appena deposta una corona. "Non ha senso quello che qui le SS hanno fatto" riesce solo a dire Matteo, studente di Livorno. Vicino c'è Manuel, coetaneo della stessa città : " Ero preparato. Avevo letto. Sapevo. Ma non mi aspettavo cos tanto. Deve essere stato davvero duro, fisicamente e psicologicamente". Tra i ragazzi c'è chi prova ad immaginare le persone che un tempo indossavano i vestiti e le divise esposti, come Gianmarco di Prato. Francesco colpito invece dall'organizzazione quasi fordista del campo: "Sembra la catena di montaggio dell'industria più efficiente". C'è chi prova fastidio. C'è chi smette di fotografare, quasi temesse di violare l'intimità di donne, uomini e bambini rinchiusi e torturati nei lager. C'è chi invece di foto e video ne fa a più non posso, magari con le lacrime che gli rigano il volto e il groppo alla gola: ma lo fa e non smette un attimo, per non dimenticare, per provare a far capire a chi non venuto e non ha mai visto.

"Sono ragazzi davvero preparati" dice sottovoce una guida, una delle tante del campo. La visita faticosa, il programma dei tre giorni ha ritmi frenetici. Eppure i ragazzi sono sempre attenti, "sempre rispettosi e corretti nel comportamento". "Per noi una gioia" confessa ancora la guida.


 

Una tela come corona

Sei ragazzi del Buzzi, storica scuola di periti tessili di Prato, si avvicinano intanto al muro della memoria ed accanto a due corone di fiori depongono un drappo di tessuto della città preparato prima di partire, con i loro nomi. "Non vedo l'ora di tornare a casa e parlarne con i compagni, per trasmettere la mia testimonianza. Era il mio secondo obiettivo confessa l vicino un'altra ragazza - Il primo era quella provare a scoprire e capire".

All'una e mezzo la visita finita. Inizia a piovere acqua mista a fango. Poi tutti a mangiare. Ma la giornata non finita. Nel pomeriggio i ragazzi incontreranno tutti assieme i sopravvissuti ai campi: le inossidabili sorelle Bucci, bambine scampate a Birkenau, e Marcello Martini, staffetta partigiana di Montemurlo a Prato deportato a quattordici anni a Mathausen. Non ci sarà invece Antonio Ceseri, il soldato militare catturato dei tedeschi all'indomani dell'armistizio. Indisposto, si collegherà telefonicamente.