Cultura
Diritti
26 gennaio 2011
14:42

L'apparente e sconvolgente 'normalità' di Auschwitz

CRACOVIA (Polonia) - Il campo di Birkenau, nella sua crudezza, è terrificante. Ma Auschwitz, nella sua apparente atmosfera di normalità, appare forse ancor più sconvolgente. Sembra una caserma militare. E infatti tale era, prima dell'arrivo dei nazisti. Con i suoi austeri ma solidi e decorosi edifici in mattoni rossi, anziché le fragili e incerte baracche in legno di Birkenau. Con i suoi viali e vialetti ordinati. Una prigione certo, ma apparentemente 'normale'. Questa è  l'impressione diffusa tra i quasi ottocento toscani, la maggior parte ragazzi all'ultimo anno delle scuole superiori o già all'università, che stamani hanno visitato il campo di concentramento di Auschwitz.

 

 

E invece volgi lo sguardo dal lato opposto del vialetto interno e vedi una forca dove furono impiccati, per rappresaglia, dodici prigionieri polacchi. Passi da un edificio all'altro – esternamente identici a come erano settanta anni fa, all'interno adattati per ospitare la mostra – e ti imbatti in urna di ceneri umane raccolte a Birkenau e che i tedeschi usavano per concimare i campi o, d'inverno, per cospargere le strade ghiacciate del campo. Vedi i fusti di gas, il famigerato Ciclone B, che proprio ad Auschwitz fu per la prima volta sperimentato nel 1941 su 650 prigionieri russi e 250 infermi polacchi. Bastavano tre o quattro scatole, dai 5 ai 7 chili, per uccidere 1500 persone. Le truppe dell'Armata Rossa che il 27 gennaio 1945 entrarono in un campo già pressoché deserto e ne trovarono 20 tonnellate.

 

Nei 'blocks', illuminati stamani da un tiepido sole per poi essere velati più tardi dalle neve che è iniziata a cadere dal cielo,  vedi anche i capelli tagliati ai deportati e ai morti delle camera a gas. I tedeschi li raccoglievano per venderli. Li spedivano periodicamente  in Germania e diventavano materassi e tessuti oppure venivano utilizzati per costruire bombe a scoppio ritardato. Quando il campo fu liberato di capelli ce n'erano, ammassati e già raccolti nei sacchi, ancora 7 tonnellate. E i capelli di una persona  non pesano più di 40-50 grammi …

 

Vedi le bambole, i vestiti e i giocattoli di tanti bambini che non erano una vera minaccia per il Terzo reich ma che non diventarono mai grandi. Ci sono le scarpe: 80 mila paie ne sono state trovate. Ci sono gli oggetti di tutti i giorni – pentole, spazzolini da denti, pennelli da barba, pettini – perché gli ebrei e gli altri prigionieri del campo pensavano di essere deportati ma non di andare alla morte.

 

E poi ti imbatti nel muro nero della fucilazione, negli ambulatori dove il dottor Mengele ed altri medici conducevano delittuosi esperimenti o nelle celle dove si veniva chiusi anche per punizione, in piedi e in quattro, per notti e notti, in una stanza di novanta per  novanta centimetri, con l'impossibilità di dormire.

 

Ad Auschwitz gli uomini, donne e bambini non erano più esseri umani ma semplicemente 'pezzi', 'stuck'. Nel campo si poteva sopravvivere poche settimane, a volte alcuni mesi al massimo. E tutto era stato studiato a tavolino. La dieta e le razioni ridotte, assieme al lavoro coatto, portavano allo sfinimento da tre a sei mesi. Il tatuaggio e un numero sostituivano il nome: impresso sull'avambraccio o sul petto, ai bambini sulle cosce o sulle natiche.  Tutto era stato pianificato per annientare il fisico ma anche la personalità e dignità umana.

 

Le immagini: clicca qui per vedere le foto della visita scattate da Claudio Giovannini (foto Cge) e pubblicate su Repubblica.it. Clicca qui per vedere le foto agli oggetti dei deportati ad Auschwitz

 

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